
Sono rimasto molto soddisfatto dalla lettura di questi 16 brevi racconti dell’orrore, caratterizzati da un forte equilibrio interno, che non cede mai all’esibizionismo e garantisce che ogni storia sia un’azione narrativa concisa, definita nel tempo e nello spazio, senza inutili divagazioni.
L’intento è fare paura e ci riesce. Cosa niente affatto scontata.
Uno dei ricchi calderoni da cui attinge quest’opera composita è quello del folklore popolare, che da sempre attribuisce alla paura il ruolo di difendere uomini e donne di poca cultura dell’ignoto, facendolo rimanere tale, usando proprio la paura di ciò che si cela tra le ombre come deterrente per chi vuole fare luce, secondo una saggezza antica che alcune cose è bene che rimangano misteriose, che alcune volte è meglio non sapere.
Antico e moderno, però, giocano a ruoli invertiti tra queste pagine e gli ignoranti risultano essere coloro che credono di sapere e, nella loro arroganza, non ascoltano l’eco delle urla strazianti che da un passato non troppo remoto li avvertono della minaccia; gli sciocchi sono quelli che pensano che tutto ciò che esiste sia alla portata dei loro sensi; credulone è colui che vuole credere che i mostri non esistono.
Questo vale anche per i personaggi che incontrano orrori nuovi e le leggende le vivono e le subiscono anziché ascoltarle. E tutti, alla fine, si troveranno vittime, tremanti e inermi, un attimo prima di morire o un attimo dopo essere fuggiti, di fronte a un comune nemico: la consapevolezza.
Allora prendono vita le ombre di una mitologia di prossimità, urbana, di quartiere, domestica, che, con un orientamento creepypasta, trasforma le voci in fatti e i dubbi in grida di dolore.
La descrizione cinematografica di molte scene chiave sostiene la coopartecipazione del lettore fino all’agognato brivido finale, nel momento in cui l’orrore si palesa come fatto reale, inequivocabile e drammaticamente presente nella mente dei personaggi.
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