
Un romanzo a tre voci, quelle dei due personaggi che leggono le parole scritte dall’altro e dall’altra e quella di Circe che sussurra a entrambi senza mai intromettersi nel fato dell’uomo e della donna.
Sono le lettere di Elettra e di Mariano, separati da migliaia di chilometri, che si raccontano la storia, il destino, la volontà e tutti quegli elementi umani che possono confluire nell’amore vero, quello della vita.
E tutto si gioca sul filo delle possibilità mancate. Evidente, in questo, è il senso di liberazione di Elettra nel parlare a cuore aperto della sua storia coniugale “nascosta” alla compagnia di amici, uno sfogo contro il marito che nella loro vita privata cede a tutti i suoi difetti, ma che in fondo è solo il simbolo inconsapevole o l’incarnazione di una società che si desta dalla sua ignavia e inettitudine per apparire, mai per essere, per divertimento, mai per impegno, per egoismo, mai per amore. Una società soggetta ai retaggi del passato, al controllo del “così è”.
Allora cos’è l’amore di Elettra e Mariano?
È quel sentimento che timidamente emerge, quella verità che rischia di essere annebbiata o corrotta, ma che se portata avanti, nonostante la fatica, avrebbe la capacità di pensare l’impensabile, di accedere alla visione dell’assoluto e di essere futuro.
Queste lettere sono flussi di coscienza dei protagonisti, piccoli manuali per comprendere, da spettatori esterni della loro relazione, il singolo momento in cui si trovano.
La forma epistolare non è però solo una scelta stilistica e se da una parte alcuni passaggi risultano stranamente retorici o esplicativi o formali per due persone che si conoscono e si amano, dall’altra parte ogni lettera è la memoria di quello che sanno l’uno dell’altra, un modo per dirsi, anche attraverso le tante storie di conoscenti comuni, che non sono sbagliati solo perché hanno commesso degli errori e che non devono condannarsi all’infelicità solo perché hanno sofferto.
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