Richiamo dalle Foibe, di Stefania De Girolamo (PlaceBook Publishing)

“La memoria insegna, è un tesoro accumulato e ingrandito a ogni passaggio di essere umano, un tesoro immenso capace di contenere risposte, dove le più ardue domande possono trovare i più semplici responsi.” 

Una delle caratteristiche più significative di questo romanzo è il senso di attesa che pervade tutti le pagine nell’incrocio delle linee temporali e narrative che dialogano tra loro.

L’attesa è quella del lettore che percepisce tutti i piccoli segnali del cambiamento nel racconto e ne chiarisce il significato solo per accorgersi che c’è ancora altro da svelare, ma è anche e soprattutto quella dei personaggi, l’attesa per un destino inafferrabile, incomprensibile, a volte, quanto inevitabile.

Sembrerebbe chiaro che il destino dei personaggi gira attorno a ciò che accade quel terribile 12 settembre 1943 a Dignano, eppure, più ci si addentra nella lettura, più ci si rende conto che il momento di rottura non è l’inizio del dramma, celato già da tempo nell’animo degli uomini e delle donne che lo hanno vissuto, fortemente caratterizzati, minuziosamente descritti nei loro costituenti interiori.

Questi ultimi, come elementi virali, contagiano chi si trovi di fronte il loro patimento, anche solo raccontato o accennato, ma sono allo stesso tempo patologia e vaccino e permettono di svelare alla mente quello che il cuore già conosceva: la differenza tra perdita e mancanza, la necessità di riscoprire un passato, di far riemergere una memoria sepolta nel dolore, vale per giovani, maturi e anziani, e per tutti scintilla di liberazione nell’accettazione.

Una storia lineare che procede nell’assenza di antagonisti esterni, ma complessa nel suo essere interpretata allo stesso tempo o alternativamente come una storia di famiglie, di sorelle, di donne e della loro condizione in un determinato contesto temporale, cronologico e sociale, una storia di amori sbagliati, amori che non sono amori e che quindi conducono all’errore e all’orrore.

La lettura che ho preferito è stata quella che vede questo libro come una storia di coincidenze o fatti che, tra le persone, non capitano mai per caso, perché è così che nascono le amicizie, donandosi all’ascolto senza riserve, al tentativo di comprensione, alla paura di non essere più insieme e alla gratitudine per ciò che è stato.

Le analogie tra storie separate da decenni di silenzio che la protagonista evidenzia nelle sue riflessioni, inducano una reiterazione simbolica del ripetersi della storia e delle esperienze tra le generazioni, ma sottolinea anche come per alcuni punti più squisitamente umani, sia necessario ripartire daccapo: la scoperta della pietà non ha precedenti che ti salvino dal dolore, la scoperta della compassione non ha precedenti che la diano per scontata e acquisita, la scoperta della vicinanza non ha precedenti che applichino filtri alla vera immagine di sé stessi che si vede specchiata nell’altro.

“Erano figli della stessa terra, la terra di confine senza confini umani”

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