
“Tra le tante storie che vi ho raccontato, torna il tema della memoria e della conoscenza, una costante”
Cosa c’era prima nel territorio dell’Agro Pontino?
Prima di cosa? Prima quando?
L’autore ci ricorda che parlare di un luogo significa anche parlare della storia di quell’ambiente, di quel territorio, degli elementi naturali e delle creature, non solo le persone, che vi si trovano.
Il problema (che è anche la cosa fantastica) è che quando ci si muove nel tempo, anche senza spostarsi di un passo, si va verso una destinazione che, talvolta, sembra essere un luogo totalmente diverso da quello di partenza.
Perché la terra si muove, muta e si modifica in quanto essere vivente e altrettanto fanno gli esseri umani che ne osservano e ne interpretano i fenomeni.
La scienze, la paleontologia, l’archeologia e le loro sorelle, hanno risposto a molti quesiti sul cosa ci fosse prima, ma entrare nella testa, nel cuore, nella storia di chi ha vissuto sulla nostra stessa terra quando sembrava essere un’altra, colmare i vuoti, creare immedesimazione, quello è compito del narratore, che dalla scienza fa scaturire il racconto delle molte vite che sono state e che non possono più raccontarsi.
Qui, l’autore si fa narratore per tramite di alcune voci, appartenenti ad altrettanti elementi tanto fisici e concreti quanto simbolici e metanarrativi.
Il buio, che cela, fa dimenticare e preserva fino all’arrivo della comprensione.
L’acqua, che fa riaffiorare e guida alla verità delle cose che incontra.
Il vento, che confonde e sussurra spiegazioni provocatorie, poi fatte realtà dagli uomini.
Elementi alla base di una mitologia personale, ma condivisa nell’antico retaggio umano, che l’autore ricrea attorno alle sue storie di uomini, animali e paesaggi.
Non scienza per la scienza, quindi, ma l’eco di una scienza che si fa di nuovo bambina per accogliere la capacità evocativa e narrativa dei miti.
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