L’orto fascista, di Ernesto Masina

“L’orto fascista” è il racconto di cosa accade quando una piccola comunità incontra la guerra, la grande guerra, una guerra mondiale, troppo grande per un paesino della Val Camonica, in cui un esercito non entrerebbe neanche e allora il ruolo dei cattivi tocca a una manciata di soldati tedeschi stanchi di combattere e con la nostalgia nel cuore.
Lo stile è quello chiaro e pulito e della narrazione orale – del racconto, appunto – consumato con la sapienza dovuta alla pratica e all’esercizio della memoria, di certo quello più adatto per far sviluppare un’avventura da bar, intrapresa da uomini comuni, quindi impreparati alla lotta e alla gloria, ma soprattutto all’orrore della guerra.
Personaggi curiosi, interessanti, dalle storie ordinarie, ma appassionanti come solo le persone reali e le loro vite fatte di orgogli ed affetti sanno essere.
Personaggi descritti a partire dai loro istinti più umani, quelli naturali, quelli volgari e bassi, ma anche quelli che spingono a innalzare sopra a tutto il valore della vita e a diventare piccoli eroi.
Questo libro riesce anche a mostrare che cos’è stato l’ultimo fascismo in tempo di guerra, uno scorcio di storia che non nega gli errori, né li sminuisce, ma riesce a mostrare con ironia gli eccessi delle manifestazioni politiche delle piccole classi dirigenti di provincia, più interessate ad apparire che a fare, con atteggiamenti che si prendono in giro da soli.
Quando nel teatrino di macchiette delineate con simpatia e psicologia netta scoppia la tragedia, tutto sembra venire velato da un’ombra. I personaggi stessi appaiono più veri e complessi nelle loro contraddizioni, come se si fosse passati da un gioco alla vita reale.
Equivoci, fraintendimenti, coincidenze e situazioni boccaccesche non mancano però di rendere tragicomico il romanzo dall’inizio alla fine.
Perché da una parte e dall’altra della barricata ci sono uomini e donne, e la consapevolezza sottaciuta che l’unico vero nemico è la guerra e chi da essa trae guadagno.
La guerra che giustifica l’ingiustificabile, rende ordinaria la barbarie e la morte solo la triste conseguenza di uno scherzo crudele.

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