L’attesa

Sono seduto in sala d’attesa, esattamente in mezzo alle due porte chiuse di ostetricia e della sala operatoria.
Sono in attesa che la mia piccola decida quando sia il momento di venire al mondo. 

Somiglia molto a una fila alle poste, aspetti che venga il tuo turno che non viene mai, per poi trovarti davanti gente che quando gli chiedi qualcosa ti guardano col profondo desiderio di dirti “grazie, non compro nulla”.
Quindi attendo, perché i papà attendono fuori che l’attesa delle mamme in attesa finisca.
Tendenzialmente attendo che quella porta si apra.
E invece si apre l’altraporta. Quella della sala operatoria. Da cui esce un ragazzo, un ragazzone, forse della mia età, dal fisico imponente e il cuore a pezzi.
Quando la porta si apre, si alzano all’unisono una signora e due signori, che sembrano il ragazzo con diversi anni in più.
Il ragazzo apre la bocca, ma non dice niente, non ce n’è bisogno, i suoi occhi diventano rossi, come quelli della donna, nello stesso momento. Lei dice qualcosa mentre gli stringe le mani. Ho avuto alcuni conoscenti rumeni e moldavi; la lingua della signora è qualcosa di simile.
Anche quella del ragazzo. Io non capisco quello che dice, ma sta parlando un altro linguaggio universale: gli occhi si stringono e diventano due strisce nere e umide, la mascella si sporge in avanti nello sforzo di parlare e ricacciare indietro i singhiozzi.
“No, no, no” dice la signora scuotendo la testa, con quella o chiusa così buffa e così drammatica.
L’uomo più anziano, quello con i capelli bianchi, rimane immobile, in piedi, pietrificato, i pugni chiusi, con la stessa maschera che ho visto indossare a mio padre quando si è trovato di fronte ai problemi degli altri che non era in grado di risolvere, perché non era umanamente possibile.
Il signore più giovane, invece, prende la testa del ragazzo tra le mani, gli bacia la guancia, piange, gli tiene la testa poggiata sulla sua spalla e gli dà delle pacche delicate sulla schiena, come farebbe con un bambino.
Anche il ragazzone piange, come farebbe un bambino.
Dovunque si sia fermato il dito del fato quel giorno, nasciamo tutti nella fragilità e nella speranza, e quale sarà il dio che ci aspetta dall’altra parte, siamo davvero tutti uguali di fronte alla sofferenza e alla perdita.

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