Due once d’oblio

Sotto le dita, il tavolo
dove poggia il bicchiere
con due once di rum.

Dallo spirito al diavolo,
dall’essere all’avere:
“memento ergo sum”.

Ogni solco nel legno
la notte solitaria
è di un’anima in stallo.

La fuga, il rilascio indegno
per una boccata d’aria.
Sul palmo, freddo cristallo,

nella gola acqua di fuoco
e poche once di oblio
affinché il cuore riposi

dall’opera, dal gioco
di un vecchio, stanco Dio
dai modi misteriosi.

Un libro di poesie
senza ritmo, né metro;
è questo il tuo operato.

Non scerni le bugie,
né il cristallo dal vetro
di un occhiale appannato

che confonde le parole
e fa perdere la rima;
quasi non le avessi scritte

e che quelle sole
fossero la stima
delle tue sconfitte.

Ogni caduta un verso
sulle pagine malconce
di un libro già pieno.

Ogni volta che hai perso,
ancora altre due once
di prezioso veleno

in cui vaghi disperso
come fossero flutti,
in cui gridi “Io comunico.

Io non sono diverso
dagli altri e come tutti
volevo essere unico,

per te, per un istante;
quello in cui le tue dita
sfogliarono il mio cuore

e tu credesti importate
ogni pagina di vita,
ogni macchia di liquore.

Lo stesso rum diluito
dalle gocce d’acqua e sale
d’un uomo che legge e piange

e tiene il segno col dito
di un dolore abituale.
Il cristallo cade e s’infrange.

2 risposte a "Due once d’oblio"

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