L’ammiratore segreto – parte 2

6 terribili verità – Quarta verità

«Un’altra ripresa domani, l’ultima, quella definitiva, poi avremo abbastanza materiale da andare in post produzione.»

Il regista le aveva detto così e Stella ne era felice. Fare l’attrice era il suo sogno fin da bambina e ora finalmente non doveva più limitarsi a sognare, questo grazie a Raoul che aveva lavorato con dedizione per sostenerla, e grazie ad Arturo Zorra, che l’aveva voluta nel cast e aveva creduto in lei.

Nonostante ciò era contenta che quella esperienza particolare stesse per giungere a termine. Non si sentiva un’ingrata, non stava negando il bene che quel film avrebbe fatto a lei e alla sua carriera, ma in qualche modo le riprese la stavano portando al limite.

Sì, era felice che stesse per chiudersi tutta la faccenda; ormai non era più solo una questione di energie fisiche o di tempo occupato: le scenografie cupe, l’atmosfera angosciante, i dialoghi spesso incomprensibili, le stavano entrando dentro, non riusciva più a lasciarli sul set una volta terminate le riprese. Forse anche per colpa del set.

Zorra si rifiutava di girare in studio, di ricostruire ambienti posticci, se una scena richiedeva una location particolare, quella location andava trovata nel mondo reale. Per questo motivo aveva fatto sborsare una quantità esagerata di soldi alla produzione per affittare un intero cantiere. Il cantiere stava lì abbandonato vicino alle autolinee da anni, appena qualche scheletro di edificio e un po’ di baracche, ma era diventato all’improvviso molto prezioso. Comunque aveva di buono che l’area era già circondata da un’alta recinzione di legno che teneva fuori i curiosi e dentro i misteri del film

Anche ora che doveva solo uscire e tornare a casa, Stella era nervosa. Qualcosa di lei era rimasta sul set e qualcosa del film le era rimasto addosso. Certo, erano solo sensazioni, niente di concreto. Si guardò più volte alle spalle, per sincerarsi che nessuno la stesse seguendo: quella sensazione di essere costantemente osservata non l’abbandonava, eppure non scorse nessuno nelle vicinanze, solo alcuni tecnici in lontananza che spostavano delle attrezzature, la solita routine, era tutto immobile e silenzioso.

Stella cominciava a dubitare dei suoi sensi, sapeva che qualcuno o qualcosa la stava guardando, ma non riusciva a percepire questa presunta minaccia, come se fosse un fantasma invisibile, una presenza indistinta sempre al margine del suo campo visivo.

«Signorina Parmesan! Mi scusi!»

Persa nei suoi pensieri, non si era neanche accorta di essere uscita correndo dal cantiere, non finendo per poco in mezzo alla strada. Per fortuna la voce del giornalista l’aveva riportata alla realtà nel momento esatto in cui un suv le sfrecciava davanti.

«Signorina Parmesan, solo una domanda» insistette il giornalista.

«Sì… mi dica…»

Da quando erano cominciate le riprese, Stella doveva evitare le interviste: Zorra voleva il più assoluto riserbo su ogni fase della realizzazione del suo nuovo film. A lei stava benissimo questo accordo non scritto, almeno aveva una scusa per sfuggire a domande imbarazzanti sul suo passato.

Lì per lì non pensò di rifiutare l’intervista né di fuggire, un po’ perché quel ragazzotto in abito sgualcito le aveva forse salvato la vita con la sua invadenza, un po’ anche perché dopo le sensazioni inquietanti che la opprimevano nell’ultimo periodo, un contatto umano di qualunque tipo era un sollievo.

Parlando con il giornalista capì ben presto che l’argomento di maggiore interesse non era lei, ma Zorra. La cosa non la stupì, in fondo lei ancora non aveva avuto modo di farsi conoscere al grande pubblico, mentre lui era famoso proprio per essere passato in maniera repentina dalla categoria degli esordienti a quella dei professionisti. A dire il vero non le dispiaceva neanche che le domande riguardassero quasi tutte il regista: parlare e andare alla radice della sua inquietudine era un buon modo per esorcizzarla.

In questo modo andò avanti una mezzoretta buona, lì in piedi davanti alla lunga parete di assi imbrattate dai writers, quando il suo intervistatore le rivolse un’osservazione riguardante il lavoro del regista.

«Dicono che Zorra sia un mago delle scenografie.»

«Credo – ammise lei con una nota di nervosismo – che gran parte delle emozioni suscitate dai suoi film sia proprio dovuta alle ambientazioni che riesce a ricreare sul set, è un mago in questo, anche a noi attori sembra di trovarci in… non saprei come descriverlo, un luogo che non è di questo mondo, qualcosa che esce direttamente dalla mente di Zorra.»

«Come un incubo» concluse il giornalista.

«Come un incubo…» ripeté lei quasi senza rendersene conto.

Di sicuro non se ne accorse il ragazzo che aveva di fronte, intento a scrivere sul suo blocchetto per appunti e a pensare alla prossima domanda.

«A tal proposito, può dare qualche anticipazione ai nostri lettori?»

L’immagine che subito le aggrediva la memoria, scacciandone ogni altra, era la scena girata quel pomeriggio, terminata pochi minuti prima. Da sola sul set, senza nessuna strumentazione visibile, solo la voce del regista che le dava indicazioni in filodiffusione, sdraiata sul pavimento di cemento grezzo per ore in una stanza con le pareti costituite da pesanti tendaggi. Su una parete, dietro il tessuto nero, un pallido tondo ad altezza viso rappresentava l’unica illuminazione, che, anziché rischiarare l’ambiente, aveva l’effetto di rendere ancora più angosciante l’oscurità che la circondava,

Fino a quel momento non si era nemmeno posta il problema di cosa volesse riprendere Zorra, dato che con quella scarsa luce il set doveva risultare del tutto invisibile; la sua fantasia era stata catturata solo dalla luce, ossessiva nella sua fissità, quasi ipnotica, quasi viva, come se dietro la tenda la osservasse un mostruoso ciclope generatosi all’inizio dei tempi. Le tende attorno invece si muovevano, spinte da una corrente d’aria che a lei non arrivava o forse da persone nascoste alla sua vista, che si gettavano sui drappi con l’intenzione di passare oltre, senza riuscirci.

Con quei ricordi davanti agli occhi della mente, ricollegò le sue paure recenti, come nel caso del piccione o della presenza che la pedinava, a una forma di suggestione l’aveva indotta a vedere e sentire quello che non c’era. Si convinse che non poteva essere diversamente.

«Signorina, tutto bene?»

Il giornalista, ignaro delle sue elucubrazioni private, cercò di distoglierla con educazione dal suo imbambolamento.

«Ah, mi scusi – disse lei – Stavo riflettendo su… la sua domanda. Ecco, no, mi dispiace, non posso anticiparvi nulla del film, però consiglio a tutti di vederlo.»

Cercò di calmare il suo stato d’ansia con una risatina, che dovette sembrare piuttosto isterica al suo interlocutore, il quale preferì non insistere e cambiò argomento.

«La critica ha già elogiato le doti di Zorra, viene definito un autentico talento del cinema moderno, cosa non molto comune per un regista che realizza esclusivamente film di genere. Inoltre “Tremendum” si preannuncia come il suo più grande successo.

Quando sentì pronunciare con enfasi il titolo del film, Stella inarcò le sopracciglia e trattenne con garbo una risata. Zorra era regista fenomenale, ma evidentemente di marketing non se ne intendeva. “Tremendum” le era da subito sembrato semplicemente ridicolo. Anche se il titolo completo era “Tremendum. La verità terribile”. Non cambiava di molto, sembrava il titolo di un film trash anni ’80. Immaginava che fosse un omaggio voluto, in ogni caso non ne aveva voluto sapere di cambiarlo, nonostante le insistenze della produzione, che alla fine aveva dovuto cedere. In fondo il genio era lui.

«Signorina Parmesan – continuò il giornalista – secondo lei perché avrebbe scelto un cast di volti nuovi, come lei per esempio?»

«Cosa passa per la testa di Zorra non lo so, non lo sa nessuno, posso solo dirle che sono molto orgogliosa che abbia scelto me per questo film, dice che lo ha fatto perché io so cosa significa soffrire?»

«Per via della sua storia…»

«…con la droga, sì, ci ho messo anni a lasciarmi alle spalle la mia dipendenza, il cinema mi ha aiutato a dimenticare la me stessa che ero, quella fragile e in balia degli eventi, anzi, è merito soprattutto del mio agente, ha creduto in me e mi ha dato un nuovo futuro, ora sto bene e sto cercando di dare il meglio di me sul set e fuori.»

«Il suo agente, Raoul…»

«Santi.»

«Raoul Santi, sì. Posso considerare le sue parole come un’indiscrezione su una vostra possibile relazione sentimentale?»

Quando si arrivava al gossip spinto voleva dire che le domande serie erano finite, per cui Stella si rilassò e si concesse una risata più onesta della precedente.

«Ahah, no, no, gli voglio troppo bene per dargli una croce del genere.»

Il giornalista colse lo scherzo e stette al gioco.

«C’è forse qualcun altro? Magari un ammiratore segreto?»

Stella sussultò, non per la domanda, non l’aveva neanche sentita. Un movimento quasi impercettibile aveva catturato la sua attenzione. Non molto distante, oltre la strada dietro le spalle del giornalista, c’era quell’uomo imponente con il soprabito giallo e i capelli corti. Stava fissando lei, nonostante le numerose auto che gli passavano davanti andando avanti e indietro, non poteva avere dubbi. L’energumeno si accorse che lei lo aveva notato, i loro sguardi si incrociarono per un istante. Negli occhi grigi dell’uomo non lesse nulla, nessuna intenzione, nessuna emozione. I suoi lineamenti severi, scavati nel volto abbronzato, furono comunque sufficienti a terrorizzarla e a paralizzarla finché non fu sparito, portato via dalla sagoma di un autosnodato.

«Non… intendevo insinuare…»

Il ragazzo che la stava intervistando sembrava sinceramente preoccupato per la sua reazione, soprattutto della faccia sgomenta che doveva aver assunto notando il suo pedinatore.

«No… nessun ammiratore… – rispose lei in modo sbrigativo – Scusami, ora devo proprio andare.»

Riuscì a liberarsi con semplicità del giornalista che, intuì, doveva essere alle prime armi, ma la sua non era stata del tutto una scusa, sentiva realmente la necessità di allontanarsi da lì. La strada più diretta per tornare a casa sua l’avrebbe condotta proprio dove era scomparso l’energumeno, così optò per la direzione opposta e chiamò al telefono il primo numero del registro chiamate.

«Raoul, sono Stella. Lascia perdere e ascoltami: stavolta l’ho visto bene, quello col giaccone giallo, mi aspettava fuori dagli studi. Capisci? Se non avessi avuto un contrattempo gli sarei andata direttamente incontro. Adesso sto andando a casa. No! Non mi fermo, voglio allontanarmi, mi sta prendendo un attacco di nervi. Va bene, d’accordo, ci vediamo al parcheggio delle Torri.»

Percorse la strada fino al complesso di negozi sforzandosi di non guardare mai alle sue spalle. Alla fine cedette, le vetrate degli alti palazzi si stagliavano davanti a lei. Dietro c’era lui, camminava a lunghe falcate con i lembi del giaccone aperti che svolazzavano.

Stella cominciò a correre verso Le Torri e si infilò in una discesa ciclabile. Nel frattempo mandò un messaggio vocale dal suo cellulare.

«Raul! Lui è qui, mi sta seguendo! Sono nei parcheggi sotterranei! Sbrigati! Ho paura!»

Il parcheggio era quasi vuoto, i negozi dovevano aver già chiuso da un pezzo. Si rese conto che nessuno avrebbe potuto aiutarla.

Trattenne il pianto e si accucciò dietro un’auto. E attese. Ogni tanto sbirciava verso l’entrata. Sperando di vedere arrivare Raoul e non il suo persecutore. Un’attesa interminabile fatta di ombre, rumori, presenze; poi finalmente le luci di due fari imboccarono la discesa. Doveva essere Raoul.

Un attimo prima che potesse vedere il muso della macchina, per confermare le sue speranze, un braccio possente la cinse bloccandole i movimenti e la trascinò indietro sollevandola da terra, mentre una mano ruvida premuta con forza sulla bocca le impediva di urlare.

Piangeva e singhiozzava, ma non un sussurro trapelava oltre quel palmo freddo e calloso; ogni battito del cuore sembrava dovesse farle scoppiare il cervello e farle saltare i timpani. Guardando in basso poteva vedere un avambraccio coperto da una manica di soprabito lacero e consunto, un giaccone grigio.

Nel rumore sferragliante dell’auto che entrava nel parcheggio sentì un respiro pesante dirle qualcosa all’orecchio con voce decisa, che si sforzava di essere gentile.

«Non ti farò del male, voglio che tu sappia. Il registra… Zorra, mette nei suoi film l’angoscia, la follia. Per farlo ha richiamato la Tenebra. Inquadrature, luci, posizioni, stati mentali, sono tutti tasselli di un mosaico molto complesso di cui le tue paure non sono che schegge impazzite di consapevolezza… Tu sei una delle chiavi, ti ha scelto per la tua capacità di vedere oltre, ma l’Oscurità non segue delle regole, è caos, e ora lui non è più in grado di controllarla.»

Stella non riusciva a spiegarsi come mai il suo aggressore fosse a conoscenza delle cose che vedeva e che l’angosciavano di recente; aveva pensato che fosse tutto dovuto allo stress per il lavoro o per il suo “ammiratore segreto” e invece scopriva ora, proprio da lui, che si trattava di realtà. O almeno una realtà che non percepiva soltanto lei. Era combattuta tra l’istinto di tentare la fuga in tutti i modi, rischiando magari di scatenare la rabbia dell’uomo, e la bramosia masochista di ascoltare cos’altro aveva da dire.

«Io lo conosco da molto prima di te, da prima che cominciasse tutta questa dannata storia. Sono fuggito, ma l’Oscurità non ti permette di sfuggirle, ti consuma. Tu… tu puoi farcela, ti aiuterò.»

Ogni pensiero ambivalente fu però annullato da una voce familiare.

«Stella, sei qui? Stella?»

«Raoul!»

La presa della mano si era allentata ed era riuscita a urlare in direzione del suo agente. Come fosse fatta di carta, si sentì presa per le spalle e ruotata bruscamente verso l’energumeno: lei cercava di accucciarsi, nascondersi dietro se stessa, farsi piccola, lui era chinato su di lei, con le spalle ricurve per avere la faccia esattamente di fronte alla sua. Non lo conosceva, non sembrava vecchio, per quanto i capelli fossero bianchi e la faccia segnata da profonde rughe.

Aveva in mano un coltello a scatto e sembrava impaziente di usarlo. Stella provò una paura istintiva, la repulsione del pericolo e della morte, ma tutto sommato aveva la certezza che l’uomo non le avrebbe fatto del male.

Quando le prese la mano non si ribellò, neanche quando la presa divenne una stretta e vi passò rapidamente sopra la lama del coltello, una striscia rossa si aprì di traverso sopra gli indici di entrambi. Quando un sottile rivolo di sangue colò sulle dita e la piccola ferita cominciò a bruciare, Stella ritirò la mano, ma non fuggì, non si sentiva aggredita, si limitò a guardarlo stupita.

«Così non sarai sola nel buio» disse lo sconosciuto.

La ragazza avrebbe voluto chiedere qualcosa, un dubbio che si volatilizzò quando si accorse della sagoma di un uomo che si stagliava davanti le luci dei fari di un’auto.

«Stella…? Ehi tu! Lasciala stare!»

Raoul stava correndo verso di lei, l’avrebbe salvata, sarebbe finito tutto.

«Non fidarti di nessuno – le disse l’uomo grigio – dietro la luce c’è l’Oscurità.»

Poi, con agilità felina si dileguò nelle ombre del parcheggio.

Raoul arrivò di corsa e dopo essersi assicurato che l’aggressore non fosse rimasto nei paraggi, si rivolse a lei.

«Stella, stai bene?»

Stella scoppiò a piangere come una bambina e abbracciò il suo agente come fosse la persona più cara al mondo, come non aveva mai fatto neanche con suo padre.

Ci volle un po’ di tempo affinché si calmasse, così appena possibile Raoul l’accompagnò a sporgere denuncia e di seguito nel suo appartamento, dove per scaricare la tensione dovettero attingere con generosità dal mobile dei superalcolici.

Mentre anche l’ultimo bicchiere di rum veniva svuotato, Raoul le parlò con una nota di lieve imbarazzo.

«Quando eri dentro… a fare il tuo racconto alla polizia insomma… ho sentito Zorra.»

Stella si raddrizzò di scatto sulla poltrona con aria preoccupata.

«Non ti preoccupare – la tranquillizzò lui – non gli ho raccontato i dettagli, gli ho solo detto… che eri piuttosto agitata.»

La ragazza si lasciò ricadere sullo schienale imbottito, in attesa che l’altro continuasse.

«Insomma, mi ha confermato che farete un’ultima ripresa, domani, e con quella il tuo lavoro sarà finito.»

«Domani? No, Raoul, io non posso…»

«Ascoltami – la interruppe – so che ora sei stanca e confusa.»

In effetti si sentiva incredibilmente spossata e sempre meno lucida.

«Ma sei troppo importante per rinunciare a te adesso.»

Qualcosa nella voce del suo agente le dava fastidio, ma le parole cominciavano a confondersi nelle orecchie

«Lasciati abbandonare, non ribellarti.»

Avrebbe voluto andarsene, ma sentiva ogni muscolo intorpidito e non riusciva a muoversi.

«Solo un’ultima ripresa e sarà tutto finito…»

I sensi cominciarono a venirle meno, ormai la vista era annebbiata al punto che vedeva l’uomo di fronte a lei solo come un’ombra. Un’ombra con tre punti luminosi lungo il volto oscurato.

L’ultima cosa che percepì prima di perdere conoscenza fu la fasciatura che si era fatta attorno al taglio sul dito. Sotto la garza, la ferita pulsava.

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