6 terribili verità – Seconda verità
Mi pareva di sentire ancora sul palmo e sulle dita il calore della mano di mio padre; solo quando mi destai del tutto capii che stavo solo stringendo nel pugno il ciondolo che mi aveva regalato Ogre. Non avevo avuto né voglia, né motivo, di prestarci troppa attenzione, ora invece avevo modo di osservarlo meglio e non mi sembrava niente di speciale: una semplice croce iscritta in un cerchio, con delle lettere a caso incise sopra, era di pietra grigia, chiara e piuttosto consumata. Rimasi un po’ deluso: cosa ci avrei dovuto fare?
A svegliarmi comunque erano state le grida di esultanza dei marinai: erano affacciati ai parapetti e urlavano e si abbracciavano.
«I pesci! – gridavano – I pesci! Siamo salvi!»
Pesci vivi che sbattevano sullo scafo: la speranza di evitare una morte orribile per fame o per sete. Tanto la situazione era disperata, tanto quella visione nelle acque immobili venne presa come un miracolo, per un attimo anche io fui preso dall’euforia collettiva e cominciai a ridere come un demente; ben presto però due elementi mi spinsero a rivedere tutto sotto una luce diversa e d’improvviso il miracolo si trasformò nel trucco di uno stregone travestito da santo.
Quei pesci, che rappresentavano forse la nostra unica salvezza; stavano fuggendo e nella fuga venivano spinti ad ammassarsi contro la Monfalcone. I marinai però presero a dire che l’idolo aveva mantenuto le sue promesse e che ci stava salvando perché eravamo stati obbedienti, cioè avevamo effettuato il sacrificio richiesto; anche se questo nessuno ebbe il coraggio di dirlo.
In tutto questo, Pietro e il Sordo giravano tra gli uomini e parlavano della giusta ricompensa data a chi era stato fedele e davano disposizioni che i pesci venissero raccolti, cucinati come meglio era possibile e distribuiti per il primo vero pasto che veniva consumato da giorni a bordo della petroliera. Dato che i pesci non erano abbastanza per dare un pasto completo a tutti, stabilirono che avrebbero mangiato loro per primi, essendo il tramite diretto con lo Spirito del Mare, e che il restante venisse diviso tra gli altri. Per quanto la decisione fosse apertamente iniqua non vi furono lamentele.
Il sogno di quella notte aveva fiaccato ulteriormente la volontà dell’equipaggio; era stato ancora una volta lo stesso per tutti, tranne che per me. Provai a farmelo raccontare, i dettagli però rimasero molto vaghi; rivelava in qualche modo che sarebbero arrivati i pesci e che sarebbe successo qualcos’altro, un altro segno che stavano tutti aspettando guardando nell’oscurità dal castello di prua.
«Guardate!» disse un marinaio puntando il dito in avanti.
«È un’isola!» disse un altro.
Dall’orizzonte completamente avvolto nelle ombre aveva fatto capolino tra le spire della nebbia una sagoma i cui contorni erano delineati da un debole alone luminoso. Senza dubbio poteva essere una piccola isola; come fosse arrivata lì era un dubbio che seminava a bordo un certo disagio.
Se durante la notte eravamo stati trasportati dalla corrente, nessuno se ne era accorto e comunque di quella ipotetica corrente non rimaneva traccia. L’isola pareva semplicemente comparsa, emersa dalle acque.
«Lo spirito nel mare ci ha salvato!» gridò Pietro nel silenzio.
Non ci furono obiezioni: nessuno a bordo era intenzionato a barattare la speranza appena ritrovata in cambio della paura. Stavano succedendo delle cose a cui nessuno era in grado di dare spiegazioni. Pensavamo di dover morire e invece erano accaduti dei miracoli; se quei miracoli venivano dalla testa, allora era quello il dio a cui dovevamo rivolgere le nostre preghiere e un mucchio di casse era il suo altare.
Pietro disse che dopo pranzo avrebbero avuto tutti una visione che al momento era stata rivelata soltanto a lui, e questo stroncò sul nascere ogni riflessione sulla natura dell’isola.
Il pasto, poco più di un boccone a testa, fu consumato in silenzio e subito dopo ci spostammo nel minuscolo cinema di bordo. Ero curioso di vedere cosa ci avrebbe mostrato, per cui all’inizio guardai il telo bianco davanti a noi; ero certo che non avrebbero usato il videoproiettore, poiché nessuno strumento elettronico a bordo funzionava. Poi però mi resi conto che gli altri marinai nella sala erano completamente inebetiti, guardavano lo schermo, ancora bianco, con un sorriso idiota stampato sui volti emaciati e deformati dalla stanchezza. Scattai in piedi, allarmato, ma gli unici che sembrarono accorgersene furono Pietro e il Sordo; mi fissarono con un’aria di rimprovero che non ammetteva obiezioni, così mi rimisi a sedere e cercai quanto più possibile di assumere un’espressione inebetita, sebbene di fronte a me continuassi a vedere solo il telo bianco.
Alla fine della proiezione parlai con gli altri e mi feci raccontare cosa avevano visto, perché era evidente che da qualunque cosa fosse accaduta in quella riunione io ne ero stato escluso.
Si era trattato di una specie di documentario sull’isola che vedevamo all’orizzonte; veniva presentata come il prototipo della terra felice, priva dei pericoli dei territori selvaggi, ma anche della degenerazione della moderna civiltà consumistica, ricca di risorse, con un clima clemente in ogni stagione, mari generosi di pesci, un vero e proprio giardino dell’Eden a cui avrebbero potuto accedere solo gli eletti che avessero superato delle dure prove e percorso l’impietoso cammino dell’ascesa – in pratica quello che stava accadendo all’equipaggio della Monfalcone –; successivamente agli eletti dell’isola sarebbe stato consegnato il nuovo mondo quando i tempi sarebbero stati maturi per la fine di quello vecchio.
Nel pomeriggio andai a far visita a Ogre per portargli un pezzo di pesce che ero riuscito a nascondere, ma lui insistette perché lo mangiassi io, diceva che ne avevo più bisogno. Non obiettai troppo perché avevo ancora molta fame, così mentre mangiavo lo aggiornai sulla situazione.
«Un mucchio di assurdità – dissi alla fine – Chi può credere a una cosa del genere?»
«Chi ha bisogno di speranza» rispose.
Ci pensai su un po’, in silenzio, poi continuai.
«Per tutti quelli con cui ho parlato la proiezione terminava con… in realtà non con un’immagine, cioè tutti hanno visto un uomo alto e magro, più che un uomo una di quelle dannate scimmie del sogno, era vestito con una strana tunica, veniva verso di loro e… li abbracciava. Tutti hanno il ricordo di quell’abbraccio, come se non lo avessero solo visto, era freddo e rigido, e poi si sono sentiti investiti di un’energia incredibile, nessuno è stato in grado di descrivermi meglio quella sensazione.»
Ogre annuì, ma non espresse giudizi. Vedendo che mi prestava attenzione trovai il coraggio per porgergli una domanda che mi tormentava da qualche tempo.
«Che cosa… che cos’è… il Tremendum?»
«Tremendum» ripeté lui.
Masticò quel nome lentamente.
«È solo il nome che un vecchio libro dà alla Verità Terribile – disse dopo una pausa – La vera essenza dell’Oscurità che gli uomini non possono comprendere senza impazzire, di cui intravedono solo l’ombra al calare delle tenebre, è il principio di ogni angoscia e follia, è la fine di ogni speranza.»
«E… e la testa vuole…?» iniziai la domanda senza sapere come proseguire.
«La testa non vuole nulla, ancora, possiede una coscienza, ma non ha la ragione. Sa solo che il suo mondo è l’Oscurità.»
Scossi la testa, non riuscivo a capire i termini del suo discorso
«Ci sta portando lì?» chiesi
Avevo già accettato da tempo il fatto che la Monfalcone non fosse più sulla rotta che avrebbe dovuto seguire per tornare in Italia, ora si stava affacciando l’ipotesi che non fossimo neanche più sul nostro mondo, o qualcosa del genere.
«E può farlo? – continuai – Voglio dire, una testa rinsecchita è in grado di fare una cosa del genere? Un tizio qualsiasi di questa… Razza decide di far sparire una petroliera e… puff!»
Si rivolse a me con l’espressione di pazienza che gli avevo visto assumere già altre volte di fronte ai miei dubbi.
«Lo farà quando sarà tornato in vita. Quando sarà completo. Gli abissi sono tutti collegati tra loro.»
Stavo per ribattere qualcosa, non ricordo neanche cosa, quando un suono ripetuto di campanella interruppe la conversazione: veniva convocata un’adunata generale. Gli promisi di ritornare appena possibile e corsi fuori, dove l’equipaggio era già riunito davanti all’idolo. Pietro, con gli occhi sempre più infossati nelle orbite, era in piedi sulla prima fila di casse della piramide; attese che tutti furono giunti e ci spiegò che ci era stato indicato un altro segno.
«L’isola è una prova tangibile, inviataci da colui che ci guida – disse – Lo Spirito del Mare ci vuole con sé.»
Un vociare concitato tra i marinai. Non capivo se era preoccupazione o eccitazione, o entrambe le cose. Mi era abbastanza chiaro che non riuscivo più a vedere le cose come gli altri.
«Questo vuol dire che qualcuno dovrà andare lì – aggiunse Pietro quando il fermento si fu un po’ sopito – Lo so, siamo tutti provati, la strada che abbiamo intrapreso è dura, lo è stata finora e ci saranno ancora altre dure prove.»
Fece una pausa, il suo respiro era affannato e grave. Il silenzio servì comunque a chiarire che le parole che aveva appena detto non erano di circostanza: ognuno avrebbe fatto ciò che doveva fare, si trattasse di un sacrificio e di qualunque altra cosa. Fece una carrellata a incrociare lo sguardo di tutti.
«Ma questa… missione – mettere piede sull’isola – non è una prova, è il primo dei nostri premi.»
Venne fatta una patetica consultazione di gruppo, nel corso di dieci minuti Pietro disse delle cose e tutti diedero il loro assenso senza ribattere. Si stabilì che sarebbe partita una lancia con a bordo solo cinque uomini, anche se erano in molti a voler far parte della spedizione. Pietro sarebbe rimasto sulla Monfalcone, sarebbe stato il Sordo il suo referente sulla lancia, lo avrebbero accompagnato due marinai di provata esperienza. Gli ultimi due dovevamo essere io e Ogre.
Era deciso, così ci recammo alla cella dove era tenuto Angelo. Ci aspettava in piedi con le mani strette sulle sbarre.
Lasciai cadere subito il discorso che mi ero preparato sul motivo della nostra presenza, la storia dell’isola e il resto, tanto non mi prestava attenzione: sapeva già tutto. Senza accennare proteste lasciò che gli altri gli venissero legati i polsi tra loro con una robusta catena chiusa da un lucchetto. Come per la prigione vennero date a me le chiavi: ero ancora il suo custode.
«Preparatevi, partiamo tra mezzora» disse il Sordo.
Prima di andarsene con gli altri due uomini si girò a lanciarmi un’occhiataccia.
«Controllalo, Livi, sennò…»
Anche lasciato in sospeso, l’ammonimento era abbastanza esplicito. Le gambe mi tremavano, per il freddo, per la paura, per la stanchezza. Quando mi allontanavo da quella dannata testa mi sentivo privato di tutte le energie.
Mi appoggiai con la schiena alla parete, guardai Ogre e abbozzai un mezzo sorriso.
«Adesso mi riprendo – mi giustificai – dammi solo un minuto.»
«Ti chiedo un favore» disse.
Rimasi piuttosto stupito; un uomo in catene che chiede un favore tutto sommato potrebbe essere una cosa normale. Era il fatto che uno come lui facesse una cosa normale a essere strano. In ogni caso lo ascoltai e feci quello che mi aveva chiesto: andai nella piccola biblioteca, presi il libro che mi aveva chiesto e tornai da lui. Ogre mi aspettava seduto e non fece alcun cenno quando entrai. Cominciai a sfogliare il libro: era quello di poesie che aveva preso durante la nostra prima visita ai locali di servizio della nave.
«Vuoi leggere una poesia in particolare?»
Lo chiesi per cortesia; con i polsi legati a quel modo non sarebbe stato in grado di girare le pagine. Non si mosse, così pensai che non gli importasse e ne scelsi uno a caso.
Avevo le labbra spaccate e la lingua gonfia per la sete, non sarei stato in grado di leggere ad alta voce, in realtà non riuscii a leggere affatto, la vista era annebbiata, le lettere si confondevano tra loro e scivolavano via sulla carta ingiallita. Ero sul punto di svenire o vomitare, quando Ogre cominciò a recitare la poesia che avevo davanti agli occhi. La voce roca e bassa, monotona e quasi priva di intonazione, non aveva nulla di poetico e col tempo diveniva sempre più penetrante. La ricordo ancora.
Vivevo la paura
di essere umano e cosa impura,
già prima ch’io partissi
per questa mia discesa negli abissi.
La colpa d’indulgenza
per ogni sacrificio
è crollata come un vecchio edificio
negli abissi della nostra coscienza.
Cambiando ancora il verso
mi persi volutamente
e navigo così perso
negli abissi della mente.
Questi versi continuarono a risuonarmi in testa per diverso tempo, mentre salivamo a bordo della lancia, mentre la piccola imbarcazione veniva calata in acqua, mentre attraversavamo lentamente il paesaggio monotono diretti verso l’isolotto, immobile al nostro orizzonte più prossimo.
Commenta