Multe nove c’insegna un’istoria;
como li fatti foli d’altre vite,
ché le leggende co la gloria
copron speso verità sgradite.
Pari chella dello Re Arturo
e li Militi de la Tavola Ritunda.
Dicesi che rignasse puro
a Camelot: civitas iocunda.
Rignava co un’artefatto antico:
Escalibbra la spada,
che puniva ogne nemico
et sgomenava ogne masnada.
Era ben veduto da chi tiene,
dallo popolo minuto et chello crasso
et dalla moglie, che vedeva bene
pure Lanciolotto, lo suo vasso.
Et difatti uno re sì potente,
che lo nemico va e non torna,
è battuto come gnente
dallo peso de le corna.
Chesta imagine che ora se vide
accade di vero in uno paese
ove pria che la coniugale fide
regna tosto l’Amor Cortese.
Videte Arturo in la sua terra,
de retorno sì che gran male
avea sconfitto in una guerra:
corre pe la camera nuziale.
ARTURO
“Ginevra, moglie mia devota,
piue brava tra le donne brave,
son tornato, la pugna è vota!”
Ma la porta è chiusa a chiave.
Gemiti e soffi como de fiere
s’odon di là da la porta.
Arturo vorrebbe sapere,
ma rumoreggia appena scorta.
Et s’ode “Cielo, mio marito!”
Come furia, ma con educazione,
co uno colpo ben guarnito,
entra Artu’ del Pendragone.
Nella luce fioca et cala
trova Ginevra sanza trama
a covrirla et pe tutta la sala
abiti d’omino et de dama.
ARTURO
“Bell’amica, cosa è stato?
Quale sicreto me se taccia?”
GINEVRA
“Bona sorte, se’ arrivato.”
Dice lei co bona faccia.
GINEVRA
“Delli tizzi loschi et brutti
Han cercato di rapirmi.”
ARTURO
“Dove son chei farabutti?
Cosa aspetti a riferirmi?”
Dice Artu’ co l’arma in erta
ricercando con sospetto.
ARTURO
“Sono ammezzo la coperta?
Oppure sotto lo letto?
O nella cassa? Che ne so!”
GINEVRA
“O nonò, mio amato sire.
Nella cassa proprio no!
A star lì sarebbe ardire.”
ARTURO
“Dove allora son finiti
li nemici? A manca o a destra?”
GINEVRA
“Al tuo sentire son fuggiti..
Via… dalla finestra!”
ARTURO
“Bell’amica, cosa dite?”
Fa lo re co faccia cruda.
ARTURO
“Chesta stanza ove dormite
et ve mostrate ora ignuda
è sulla cima d’uno torrione
era falco, grifo o drago
chi v’ha fatto l’aggressione?”
E Ginevra in tono vago
GINEVRA
“Ommini temevoli de voi,
che son fuggiti assai lesti
cangiando forma in avvoltoi.
vedete? Han lasciato qui le vesti.”
Stanco ché lo viaggio accusa
et disioso delli muliebri vanti,
lo re annuisce a la scusa
et passa a letto co le mano avanti.
ARTURO
“Vi credo, mio tesoro adorato.
Se ho dubbiato, anima mia,
è che mi sono turbato
che potessero portarvi via.
Ora cedete la vostra natura.
Guardo solo, come ‘l rito chiede,
ma tempo di svellere l’armatura
et faciamo lo nostro erede”
Mentre toglie lo stivale,
dalla cassa s’ode acuto
in tutto ‘l talamo nuziale
uno tuono de starnuto.
La regina “No! Lo giuro!”
Co rossore guarda bassa.
Sbalordito resta Arturo,
che curioso apre la cassa.
Mai guardarobba fue sì degno,
ma rintuzzato, sanza dicere motto.
ARTURO
“Per Excalibur et lo regno!
Che ci fai lì Lanciolotto!?”
LANCIOLOTTO
“Se volete me richiudo,
ma son qui pe favve saluto.”
ARTURO
“Et perché sei tutto nudo?”
LANCIOLOTTO
“Ehm… per… Sì, per aiuto!
Sentii urlare vostra moglie
et pe la fretta de correre
misi addosso poche spoglie,
che son divenute polvere.
Poi li bruti de cui se parla
nella cassa m’hanno preso.”
ARTURO
“E come pensavi di salvarla
senza spada o altro arneso?”
LANCIOLOTTO
“Voi non la vedete, mio Signore,
ma la regina ben vide la mea spada.
È lo demonio che porta l’errore
et lascia la regina poco grada.
Pe cacciar lo mal che avanza
servon solo le preghiere
et uno baldo ne la stanza.”
ARTURO
“Sono pronto a remanere!”
LANCIOLOTTO
“No mio sire, non potete?”
ARTURO
“Io non posso? Come mai?”
LANCIOLOTTO
“Perché ‘l demonio de voi ha sete.
Cammineremmo verso li guai.
Voi lasciate fare a me
che son cavaliere divoto.”
Portando fuori lo re,
dice astuto Lancioloto.
LANCIOLOTTO
“Voi attendete qui d’appresso,
che se briga ‘l vostro vasso,
co lo vostro bon permesso,
de pregare sullo materasso.
Ah, vi avverto mio bon sire:
si sentite urla e grida
non dovete intervenire,
che lo demonio è una gran sfida:
più lo caccio e lui più duro
è bramoso di rientrare.”
Fuè così che ‘l grande Arturo
finisce fora ad aspettare.
Mentre uno dubbio poco terso
gli rincresce sulla testa,
passa giusto in quello verso
Mago Merlino, che s’arresta.
Lo re Arturo lo interpella.
ARTURO
“Oltre la porta cosa accade?
Et cosa far pe la mia bella?”
MERLINO
“Non ti servon cento spade.”
Risponde lo mago saggio.
MERLINO
“Caro Arturo, mio diletto,
in fil di lama è tristo viaggio;
hai Escalibbra va diretto
a cacciare lo nimico infame
et continua a tenere la pace,
ch’a giostrare colle dame
v’è qualcuno piuè capace.”
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