Arriva Alfonso.
ALFONSO: Signori, eccomi di ritorno.
Tutti guardano alle spalle di Alfonso. Insospettito guarda anche lui.
ALFONSO: Che c’è?
EREMITA: Stavamo guardando chi ti eri portato dietro dalla forca stavolta.
ALFONSO: Uh, spiritosi…
UZEDA: Spiriti ne ho soggiogati molti in effetti.
VELASQUEZ: (a Rebecca) Cosa vuol dire?
REBECCA: Diciamo che il calcolo delle probabilità, quando il signor Alfonso si allontana, risulta insolitamente favorevole a un suo ritorno in compagnia di qualcuno che, come voi, ha dormito sotto la forca de Los Hermanos.
ALFONSO: Non questa volta. Anche se tornando da… dove sono stato, sono passato vicino alla forca…
Tutti fanno dei sorrisi compiacenti e si danno di gomito.
ALFONSO: Non questa volta. Anche se tornando da… dove sono stato, ho visto passare una carovana che s’inoltrava nella gola piuttosto variopinta: alcuni uomini di nobile aspetto,una mandria di vigogne cavalcate da scimmie e una schiera di servitori neri ben armati. C’era anche una giovane svenuta su una lettiga, mentre un prete su una mula le gettava addosso dell’acqua come se la stesse esorcizzando.
Tutti lo guardano sospettosi tranne Avadoro.
UZEDA: I demoni sono tornati a farvi visita?
ALFONSO: Guardate che dico davvero.
AVADORO: Lo so, è per questo che vi ho fatto venire qui sulle rive di questo magnifico lago.
EREMITA: Non capisco.
AVADORO: So chi sono e li ho fatti derubare di metà dei loro averi.
EREMITA: Continuo a non capire.
AVADORO: è un bel posto per le trattative diplomatiche.
Arriva Consalvo.
CONSALVO: Signori! Chiedo immediatamente la restituzione delle vigogne?
AVADORO: Quali vigogne?
CONSALVO: Quelle che ci avete rubato?
AVADORO: Io?
CONSALVO: I vostri zingari.
AVADORO: Ho molti zingari al mio seguito, tutti feroci e ben armati. Quali esattamente accusate di furto?
CONSALVO: (intimorito) Molti… e armati?
AVADORO: Moltissimi.
CONSALVO: Uh…
REBECCA: Forse prima di accusare qualcuno dovreste avere la compiacenza di presentarvi.
VELASQUEZ: E presentare coloro per cui venite.
REBECCA: (guarda Velasquez con compiacenza) Giusto.
CONSALVO: Mi chiamo don Consavlo de Hierro Sangre. Viaggio insieme al Conte di Pena Velez, legittimo nipote del famoso viceré, e al marchese Alonzo de Torres Rovellas, figlio del marchese de Torres e marito dell’erede dei Rovellas, sono in viaggio per far sposare i loro rispettivi eredi.
ALFONSO: E la ragazza svenuta?
CONSALVO: Mi è sconosciuta quanto a voi. L’abbiamo trovata sotto una forca poco distante dalla strada maestra, era sdraiata tra due impiccati. Abbiamo provato a curarla, ma passa da uno svenimento all’altro.
EREMITA: Sei arrivato tardi stavolta, caro Alfonso.
ALFONSO: Ho detto che non sono andato alla forca!
CONSALVO: Uh… Tornando al furto che abbiamo subìto?
AVADORO: Vi chiedo scusa, valente peruviano, le apparenze sono contro di me, ma vi prego di tornare dal marchese de Torres Rovellas e chiedetegli se si ricorda di un ragazzo di nome Juan a cui era stato chiesto di diventare regina del Messico.
CONSALVO: Regina?
AVADORO: Esattamente. E se se ne ricorda che venga a trovarci qui.
CONSALVO: Uh. Riferirò.
Consalvo esce quasi divertito dalla situazione. Poco dopo entra Alonzo.
ALONZO: Possibile che dopo tanti anni ritrovi l’uomo che nella sua infanzia mi ha reso un così grande favore?
CONSALVO: Lonzeto, proprio voi mi domandate cosa è possibile?
UZEDA: Ah, è lui Lonzeto.
EREMITA: Adesso l’hai capito? Meno male che sei cabalista…
ALONZO: Ho chiesto spesso informazioni su di voi, ma inutilmente.
AVADORO: Ho subito tante metamorfosi, la mia vita è trascorsa sotto tante forme differenti che sarebbe troppo lungo da raccontare.
REBECCA: Eheh, decisamente troppo.
Avadoro guarda male Rebecca.
ALONZO: Ho piacere di ritrovarvi in salute e felice.
AVADORO: Signore, non parlate a me di felicità, la vostra unione con Elvira deve essere stata una serie di godimenti dei più deliziosi.
Alonzo fa una faccia contrita e sorpresa. Avadoro è imbarazzato.
AVADORO: (agli altri) Ho detto forse qualcosa che non va?
VELASQUEZ: Avete esposto la soluzione senza tenere conto delle incognite.
AVADORO: Eh?
EREMITA: Si chiama gaffe.
AVADORO: Oh.
ALONZO: Vedete, dopo aver ottenuto la dispensa del Papa, io ed Elvira ci siamo sposati e siamo andati in Messico al servizio del Viceré. Elvira era così felice, nel suo ambiente divenne una vera nobildonna, ma i nostri rapporti si raffreddarono, e io mi ritrovai a prendere le difese degli indigeni ogni volta che ci fosse una controversia con gli Spagnoli.
ALFONSO: E perché mai?
ALONZO: Lo confesso,mi ero invaghito di una… principessa locale, Tlascala Montezuma, erede degli ultimi regnanti legittimi. Finii anche in prigione per lei. Dopo io e Elvira ci riappacificammo, la nascita della nostra figliola, Elvira anche lei, doveva essere la gioia più grande, ma la madre morì in seguito al parto.
AVADORO: (mette una mano sulla spalla di Alonzo) Amico mio, mi dispiace per voi. Proseguite pure i vostro viaggio, gli zingari non vi daranno più fastidio.
ALONZO: Grazie. Ma le vigogne…
AVADORO: Nono, non ringraziatemi. Andate.
Alonzo esce piuttosto turbato.
UZEDA: (ad Avadoro) Interessante la coincidenza di trovare qui i personaggi dei vostri racconti.
ALFONSO: Sì, anche se a me in realtà interessava sapere più che altro la storia della ragazza che si è svegliata sotto la forca.
La ragazza derelitta gli si avvicina alle spalle, quando Alfonso se ne accorge salta dallo spavento.
ALFONSO: Ah! È lei!
AVADORO: Dolorita!
VELASQUEZ: Vi conoscete?
UZEDA: La conoscono un po’ tutti, non ci sta molto col cervello.
DOLORITA: Fatevi gli affari vostri!
ALFONSO: Sei stata anche tu alla Venta Quemada?
DOLORITA: La Venta Quemada?
EREMITA: È una sua fissazione.
Dolorita si guarda attorno arrabbiata.
DOLORITA: E così questa sarebbe la Venta Quemada?
REBECCA: Veramento no.
Dolorita comincia a urlare e a correre, poi torna dov’era calma.
ALFONSO: Ti sei svegliata anche tu sotto la forca de Los Hermanos.
DOLORITA: Eh…
ALFONSO: Come ci sei arrivata?
DOLORITA: Di solito mi sveglio dove mi addormento…
VELASQUEZ: Un po’ a tutti noi è successo il contrario.
REBECCA: Hai dormito sotto la forca?
UZEDA: Ve l’ho detto, è matta.
DOLORITA: Dormo dove mi pare, io, da quando è morto il mio amore…
UZEDA: È scappato secondo me.
DOLORITA: L’hanno assassinato! E io ora faccio quello che voglio, vivo dove voglio, dormo dove voglio, siete voi gli intrusi.
AVADORO: Ma figurati…
DOLORITA: Se trovo un pastore o uno zingaro, mi siedo davanti a lui e lo fisso, finché non se ne va.
REBECCA: Non hai paura che ti facciano del male?
DOLORITA: E perché mai? è tutta una montatura.
Alfonso rimane colpito e la prende in disparte.
ALFONSO: Sai che anch’io lo penso da un po’? Cioè, tutte le persone che ho incontrato recentemente, le loro strane storie… Ho il sospetto che siano tutta una montatura, cioè una sorta di prova iniziatica per me, architettata dallo Sceicco dei Gomelez.
Lei lo guarda come se fosse scemo.
DOLORITA: (agli altri) E poi quella che non ci sta col cervello sarei io?
AVADORO: (ad Alfonso) Va bene, è venuto il momento che tu sappia, vieni con me.
Tutti si allontanano al seguito di Avadoro tranne Rebecca, Velasquez e Dolorita.
VELASQUEZ: (a Rebecca) Tu ci stai capendo qualcosa?
REBECCA: No, ma è così bello stare soli io e te.
VELASQUEZ; Non siamo soli…
Dolorita è immobile e li fissa in cagnesco.
VELASQUEZ: Forse è meglio se ce ne andiamo…
REBECCA: Mio fratello è fuori, abbiamo il castello tutto per noi.
Se ne vanno ed esce di scena anche Dolorita.
Avadoro conduce Alfonso al cospetto dello Sceicco dei Gomelez (l’Eremita). Con lo Sceicco ci sono Emina, Zibeddé, Uzeda, Zoto, il banchiere Moro.
Lo Sceicco comincia a parlare con molta autorità
SCEICCO: La gente di questo posto, i Tarsi, adoravano Dio, Jahh per loro, in un luogo chiamato Gomelez Jahh, la Montagna di Dio…
ALFONSO: Bene… e con l’etimologia siamo a posto, caro il mio eremita, ma perché sei vestito in quel modo? E dov’è finito Pacheco? È un po’ che non lo vedo.
MORO: Questo è lo Sceicco di tutti i Gomelez, porta rispetto.
ALFONSO: Oh. Eppure è uguale a un vecchio eremita mezzo scemo che vive poco lontano da qui.
SCEICCO: Come mezzo scemo?
ALFONSO: Ah, lo vedi, allora sei tu!
SCEICCO: Sono io, cioè, ero io che facevo finta di essere un eremita per… monitorare i tuoi successi.
MORO: Ascolta la storia di Massud be Taher, primo sceicco dei Gomelez.
Alfonso lo guarda interdetto, mentre gli altri danno chiari segni di impazienza e noia.
SCEICCO: Magari questa parte possiamo saltarla.
ALFONSO: Magari potreste dirmi però perché uno Sceicco si finge Eremita.
SCEICCO: Eh… Io dovevo essere il Mahdi, il dodicesimo Imam, ma una ferita d’arma da fuoco al petto, mi rese, per così dire, inadatto al ruolo. Rimasi comunque depositario del segreto dei Gomelez.
ALFONSO: Me lo volete dire o no questo benedetto segreto?
SCEICCO: Una gigantesca vena d’oro sotto queste montagne.
ALFONSO: Quanto gigantesca.
MORO: Tanto da comprare intere nazioni.
ALFONSO: Così gigantesca?
SCEICCO: Di più.
ALFONSO: Uh.
SCEICCO: Con questa ricchezza girai un po’ il mondo come gioielliere. Finché non incontrai il nobile Uzeda che mi ricondusse al mio destino, che ora è anche il vostro.
ALFONSO: (a Uzeda) Voi?
UZEDA: No, mio padre in realtà.
ALFONSO: Perché? Non capisco.
UZEDA: Gli Uzeda sono da secoli incaricati di monitorare l’attività degli Sceicchi Gomelez su loro stessa volontà.
ALFONSO: Monitorare…
UZEDA: E ucciderli se non si dimostrano degni.
ALFONSO: Uh.
SCEICCO: Il potere dei Gomelez era tale che abbiamo dovuto dividerci, spargerci per il mondo, fingere di essere ciò che non eravamo. Alcuni, come i banchieri Moro (Moro alza la mano) hanno finto di convertirsi al cristianesimo…
ALFONSO: Benissimo, ma io cosa ci faccio qui?
SCEICCO: Ecco, diciamo che abbiamo problemi di prosecuzione della stirpe… I maschi di parte musulmana dei Gomelez tendono a essere deboli di salute… Insomma, ho dovuto attingere al ramo cristiano della famiglia per perpetuare la dinastia.
Alfonso pare molto stupito.
SCEICCO: Cosa che hai fatto egregiamente mettendo incinta le tue cugine.
ZOTO: Va bene, ma a questo punto non mi è chiaro noi cosa ci facciamo qui.
MORO: Il potere dei Gomelez si sta esaurendo.
ZOTO: Come?
MORO: La vena d’oro è terminata.
ALFONSO: Ma non era gigantesca?
UZEDA: Nulla è eterno.
SCEICCO: I presenti si divideranno il restante, poi verranno fatti saltare in aria i sotterranei. Così è deciso.
Tutti fanno per uscire.
ZOTO: Peccato che tutta questa storia dei segreti, dei sotterfugi, dei sotterranei debba finire così… Non mi dispiaceva.
MORO: Alla fine la storia ci insegna che è tutta una questione di…
ALFONSO: (allo Sceicco) Sentite, una cosa non ho capito però.
SCEICCO: Chiedi pure.
ALFONSO: Che fine ha fatto Pacheco?
Escono di scena. Si sente un urlo, Pacheco entra correndo, si ferma e si mette a ridere.
PACHECO: E che fine ha fatto Pacheco, eheh, e che ne so, Pacheco era un personaggio come un altro che è stato chiesto di interpretare a un attore di talento o forse era un’incarnazione del demonietto Nemrael evocato per sbaglio da Rebecca, o forse ancora lo spirito di uno degli impiccati. Sta di fatto che mi sono appassionato alla storia e l’ho seguita ancora un po’. Così vi posso dire che Velasquez chiederà la mano di Rebecca. Non è di loro che vi interessava sapere? Ah, Alfonso. Alfonso continuerà a vivere la sua vita tra cristiani, ebrei, musulmani, che poi sono tutti uomini… E diventerà governatore di Saragozza, dove scriverà le memorie di queste sue avventure nella Sierra Morena. Un giorno qualcuno troverà questo manoscritto e leggerà di questa catena impervia che separa l’Andalusia dalla Mancia, abitata soltanto da contrabbandieri, banditi e zingari. E da spettri, demoni, vampiri…
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