Il Manoscritto – parte 5

manopostParte 5

Alfonso si allontana camminando e leggendo la lettera. La scena si sgombera.

ALFONSO: Signor Cavaliere, vi cercano, non c’è tempo da perdere. Abbiate la compiacenza di lasciare l’accampamento e di avanzare verso ponente.

Alfonso alza la testa  e cerca la direzione gusta dove andare.

ALFONSO: Troverete delle persone che hanno importanti segreti da rivelarvi. Siate così cortese da non tardare.

Continua camminando dentro e fuori la scena, finché non incontra il Derviscio.

ALFONSO: Scusi lei, è del luogo? Devo essermi perso.

Il derviscio gli spiega delle cose sulla famiglia e sui segreti dei Gomelez.

DERVISCIO: Siate il benvenuto, signor Alfonso, è da molto tempo che vi aspettavamo.

ALFONSO: Questo è forse il sotterraneo del Cassar Gomelez?

DERVISCIO: Non vi sbagliate, questa tomba nasconde il famoso segreto dei Gomelez.

ALFONSO: Ah, ottimo. E… quale sarebbe?

DERVISCIO: Signor cavaliere, so che le vostre belle cugine vi hanno raccontato la storia del Gomelez e del suo segreto. Nulla al mondo potrebbe essere più importante. Un uomo che fosse padrone di tale segreto potrebbe farsi obbedire da tutte le nazioni. Capirete quindi che consegnare tale segreto in mani imprudenti…

ALFONSO: Volete mettermi alla prova?

DERVISCIO: Chiedo solo la vostra parola d’onore che non rivelerete nulla di ciò che state per vedere.

ALFONSO: Sono al servizio del re, prima di dare la mia parola dovrei essere sicuro che non vi sia nulla di contrario al suo interesse.

DERVISCIO: Il vostro scrupolo è legittimo, ma il sangue da cui discendente impone dei doveri.

ALFONSO: Non sono molto convinto…

Entrano in scena Emina e Zibeddé che si approcciano seducenti ad Alfonso.

ALFONSO: Cugine, che ci fate qui?

EMINA: Siamo venute per voi, signor Alfonso.

ZIBEDDÉ: Se abbandonaste le vostre riserve potremmo avvicinarci.

DERVISCIO: E potreste essere introdotto ai segreti dei Gomelez.

Il Derviscio fa la faccia invitante da venditore e le ragazze gli occhi dolci.

ALFONSO: Oh, e va bene. Prometto di tacere.

Emina e Zibeddé vanno a strusciarsi su Alfonso.

EMINA: Provate qualche piacere nel rivederci?

ALFONSO: Molto, anche se hanno voluto convincermi che siete due demoni.

ZIBEDDÉ: Non ci avrete forse creduto?

ALFONSO: Oh no.

EMINA: Non sembriamo forse due esseri della vostra specie?

ZIBEDDÉ: Due esseri fatti per essere amati?

Quando le avance delle ragazze i fanno più audaci, Alfonso sembra in imbarazzo.

ALFONSO: Cugine, io vi voglio bene, ma… insomma, non sta bene, io dovrei trovare una brava ragazza… sposarla… e solo dopo…

EMINA: Vostra madre non era una Gomelez?

ALFONSO: Sì, lo era…

ZIBEDDÉ: La stirpe dei Gomelez non prevede alcun rito per il matrimonio.

ALFONSO: Non saprei comunque scegliere tra voi, mi siete ugualmente care.

ZIBEDDÉ: Abbracciate la santa legge che vi permette diverse spose!

ALFONSO: Seguo la legge del re e di Dio.

EMINA: Potreste regnare a Tunisi

ALFONSO: Lasciamo stare, promettete il paradiso, ma siamo in fondo a non so quale abisso vicini all’inferno.

ZIBEDDÉ: Possiamo trovarvi comunque le delizie che il Profeta offre ai suoi santi.

EMINA: Potreste averci tutte e due.

ALFONSO: Ma io sono cristiano.

ZIBEDDÉ: Ma la mamma è Gomelez.

ALFONSO: Ah… Beh, se mamma è Gomelez… vamonos!

Alfonso esce di scena con Emina e Zibeddé sotto braccio.

DERVISCIO: Sia ben inteso che Alfonso van Worden, uomo d’onore e cristiano fedele, lo fa solo per profonda devozione alla memoria della madre defunta.

Il Derviscio esce di scena.

L’attenzione ritorna al campo, dove Avadoro sta raccontando una storia.

AVADORO: Al tempo servivo il Cavaliere di Toledo a Madrid.

Entra il Cavaliere di Toledo.

AVADORO: Svolgevo per lui piccoli e grandi servigi. Fu un periodo piacevole, finché non ricette un ospite.

Entra il Cavaliere di Aguilar.

TOLEDO: Chi vedo? Tu, caro Aguilar! A Madrid… Come sono felice? Che si fa a Malta? Ma lasciati abbracciare!

AGUILAR: Sono felice anch’io, caro Toledo. Conti di abbandonare mai il tuo libertinaggio?

TOLEDO: No di certo, semmai temo che abbandoni lui.

AGUILAR: Ti ricordo che il nostro è un ordine religioso. Siano soldati ma pronunciamo dei voti come i frati.

TOLEDO: Come le mogli quando promtettono di restare fedeli ai loro mariti.

AGUILAR: E chi ti dice che non saranno punite in un altro mondo?

TOLEDO: Ho tutta la fede che deve avere un cristiano, ma in tutto ciò deve esserci necessariamente un malinteso.

AGUILAR: La religione ci insegna che ci sono altri luoghi di espiazione.

TOLEDO: Se ti riferisci al Purgatorio credo di esserci già passato con qualche signora.

AGUILAR: Parliamo di cose che non sappiamo ancora.

TOLEDO: E non lo sapremo per molto tempo.

AGUILAR: Forse troppo poco.

TOLEDO: Ti senti così vecchio?

AGUILAR: No, ma potrei morire stanotte, in duello.

TOLEDO: Santo cielo! Hai ricominciato quella maledetta lite con mio fratello?

AGUILAR: Sempre quella, ci batteremo sotto il ponte principale.

Aguilar esce triste.

TOLEDO: Buon Dio! Stasera dovrò dunque perdere un fratello o un amico?

Toledo passeggia nervoso avanti e indietro, poi suona la mezzanotte e si sente bussare per tre volte alle imposte

TOLEDO: Aguilar?

Toledo corre ad aprire, si sente un tonfo.

TOLEDO: Sei morto?

LOPE: (con voce sepolcrale) Sono morto…

TOLEDO: Esiste un purgatorio?

LOPE: Esiste, e io mi ci trovo.

Si odono lamenti.

TOLEDO: (a Juan) Ah! Amico mio, quando si è sentita la voce dei morti, non c’è modo di restare tra i vivi. Lasciami anche tu, prima che io venga meno.

Toledo esce.

AVADORO: Trovandomi disoccupato presi il posto di un ragazzo mio amico al servizio di un mercante di Cadice che aveva tutti e quattro gli arti rotti. Non potendo fare molto altro per passare il tempo mi raccontò la sua storia.

LOPE: Mi chiamo Lope, figlio di Gaspar Soarez, il più ricco mercante di Cadice. Quando venni a Madrid mio padre mi impose di non avere rapporto con i banchieri Moro, con cui la nostra famiglia aveva una storia di incomprensioni e offese, perché ne sarebbero derivati solo guai.

Lope “viaggia e arriva” a Madrid. Entra Busqueros con atteggiamento furbo.

BUSQUEROS: Signor don Lope, ho saputo dell’arrivo del degno figlio dell’illustre Gaspar Soarez, sono qui per porgervi i miei rispetti.

LOPE: Signore, vi prego di non chiamarmi “don”, sono solo un mercante.

BUSQUEROS: Signor don Lope, Vostra signoria mi mette in imbarazzo,  sono conosciuto sotto il nome di don Roque Busqueros, ma ormai voglio che mi si conosca soltanto per la devozione che pongo al servizio di Vostra Signoria.

LOPE: Che servizio?

BUSQUEROS: Impedirvi, per esempio, di pranzare da solo, sarebbe oltremodo sconveniente, e pertanto accetto il vostro invito a sedere a tavola con voi.

LOPE: Non sono sicuro di aver capito.

BUSQUEROS: Ma prima devo mostrarvi assolutamente la belletta dei giardini del Prado.

Busqueros conduce Lope in una passeggiata.

BUSQUEROS: Ammirate il Buen Retiro,la passeggiata più famosa dei romanzi moderni.

Lope nota qualcosa a terra e lo raccoglie, è un ciondolo con una catenella, su cui legge una scritta.

LOPE: Totalmente tuo, mia cara Ines.

Entra Ines cercando qualcosa per terra.

LOPE: Signora, credo di aver trovato l’oggetto che cercate, ma per prudenza vi chiedo di cosa si tratta.

INES: Signore, cerco un ritratto con un pezzo di catenella d’oro,

LOPE: Ma non c’è una scritta insieme al ritratto?

INES: Sì, da essa avrete appreso che mi chiamo Ines e che il soggetto del ritratto mi appartiene.

LOPE: Sono incantato.

INES: E cosa vi impedisce di ridarmi il ciondolo?

LOPE: Non mi avete detto a che titolo quel felice mortale vi appartenga.

INES: Siete ardito, per un primo incontro, ma voglio darvi soddisfazione. L’originale del ritratto è…

BUSQUEROS: Mi complimento con voi, Signora, per aver fatto conoscenza con l’illustre figlio del più ricco mercante di Cadice.

INES: Che maleducazione! Signore, vogliate restituirmi ciò che avete trovato!

Ines prende il ritratto e fa per uscire.

LOPE: (a Busqueros) Bel servizio! Sparite!

Lope rimane immobile e disperato guardando Ines allontanarsi. Ines si ferma.

INES: E comunque era il ritratto di mio fratello.

LOPE: Il mio… compagno diceva il vero, ma come ognuno sono solo il figlio di mio padre e mi chiamo Lope Soarez. Posso sapere il vostro nome?

INES: Mi chiamo Ines Moro e mi farebbe piacere parlare ancora con voi.

Ines esce e Lope si dispera. Gli si avvicina Busqueros.

BUSQUEROS: Signor don Lope, la dolce Ines è già tra le vostre braccia.

LOPE: Sì! Non importa cosa dice mio padre: devo rivederla. Ma come fare.

BUSQUEROS: Lasciate che sia il vostro servitore a organizzare tutto.

Busqueros esce e rientra poco dopo.

BUSQUEROS: Signor don Lope, è tutto organizzato: questa notte vi recherete nella via che vi indicherò dove abitano i banchieri Moro, troverete una scala appoggiata a un muro, in cima ad essa troverete una finestra aperta. Ines sarà nella sua camera ad aspettarvi.

LOPE: Quella notte stessa feci come mi era stato detto, ero incredulo che la fortuna girasse in quel modo a mio favore, non potevo certo supporre che che Busqueros avesse sbagliato finestra… Quando salii le scale trovai le imposte chiuse,per cui bussai. Qualcuno da dentro aprì in modo così impetuoso che caddi in strada rompendomi braccia e gambe.

Lope si sdraia per terra, si lamenta in preda ai dolori.

TOLEDO (VFC): Sei morto?

LOPE: Sono morto…

TOLEDO (VFC): Esiste un purgatorio?

LOPE: Esiste, e io mi ci trovo.

AVADORO: Avete detto proprio così?

LOPE: (ad Avadoro) Alla fine aveva ragione mio padre.

Avadoro non riesce a trattenere una risata.

LOPE: Vi prendete gioco di me?

AVADORO: Affatto, anzi, devo ringraziarvi, avete forse salvato la vita di un mio caro amico.

Avadoro si allontana di corsa.

LOPE: Dove andate?

Entrano Uzeda, Rebecca, Velasquez e l’Eremita.

AVADORO: Andai subito dal Cavaliere di Toledo e gli raccontai tutta la storia. Credeva di dover morire, ma credeva anche di aver parlato con lo spirito del defunto Cavaliere di Aguilar. All’inizio rimase un po’ perplesso. Poi scaturì anche lui con una risata e tornò a godersi la vita.

Tutti ridono.

REBECCA: Che ne pensate, signor Duca, di questi… sentimenti?

VELASQUEZ: Non capisco.

REBECCA: Suvvia, volete dirmi che non vi siete mai preoccupato di riflettere su ciò che si chiama comunemente amore?

VELASQUEZ: Signora, il mio sistema abbraccia tutta la natura e quindi anche i sentimenti che essa ha posto nel cuore umano. Supponiamo “amore” un valore positivo e il suo contrario “odio”, un valore negativo. L’indifferenza, che è un sentimento nullo sarà pari a zero. Così se moltiplicassi l’amore per se stesso otterrei sempre valori positivi, allo stesso modo l’odio dell’odio è positivo come meno per meno dà più. Quanto ai prodotti dell’amore per l’odio, sia che odi l’amore, sia che ami l’odio, sono sempre negativi. Che ne pensate?

REBECCA: Voi sì che sapete come essere romantico.

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