To live in Darxton
1 – Hot Chiky Chicks per tutti
«Buonasera Darxton, qui è sempre il vostro Terry Bravo di Radio CBN. Serata calda questa nella Grande D, molto calda. Si sono spente solo nel pomeriggio le ultime fiammelle chimiche dell’incendio che ha devastato gli impianti del Water Quality Center tra Yankee Street e la diciassettesima. È stato disperso nella mattina di oggi dall’esercito metropolitano il corteo di ambientalisti che manifestava contro le scie chimiche, a detta dei manifestanti, prodotte nei laboratori della WQC. I sindacati delle forze di sicurezza locali dichiarano uno sciopero congiunto contro i protocolli di intervento dei vigili del fuoco ormai obsoleti, indicati come la causa principale della morte sul campo dei quattro eroici pompieri accorsi ieri notte per sedare l’incendio. Il sindaco ha già indetto un minuto di silenzio per domani alle ore 11 per ringraziare e onorare, dichiara, i nuovi eroi di Darxton, tra cui ricordiamo Luke Parker, Bred Platter, Richard Brown e Sean Miller. Grazie ragazzi, dovunque siete adesso continuate così. E adesso, popolo della Grande D, torniamo alla buona musica in diretta dallo Shock Wave Musica After Club!»
Nonostante l’insopportabile TUNZ TUNZ TUNZ della musica tecno abbia scalato la piramide dei decibel, Sean continua a guarda la radio come se qualcuno ci avesse cagato sopra.
Non deve essere il modo migliore per venire a conoscenza della propria morte.
Inoltre sono appena entrato in casa con otto scatole di Hot Chicky Chicks, le alette di pollo più fritte di tutta la città, e non so quale delle due notizie sia peggio. L’olio della friggitrice è così vecchio da essere considerato un reperto di archeologia industriale.
«Ehm, ragazzi – dico posando le scatole per terra – mi sono lasciato prendere un po’ la mano, ma mi è successa una cosa…»
«Va bene, poi ce la racconti» mi interrompe Kate sfilando in pantaloni neri e camicetta bianca per andare a spegnere la radio.
Kate. Kate “watermelons” Walker, un’intellettuale, una mezza hacker, una gnocca intera, lavora alla Pubblic Library, ma della bibliotecaria ha solo gli occhiali, stretti e trasparenti, il resto è decisamente abbondante. Sono mesi che spulcio tutti i siti porno nella categoria Book-Job, ma quel ben-di-dio te lo puoi godere solo dal vivo.
«Smettila di guardami le gambe» dice.
«Veramente stavo guardando il culo.»
Glielo dicono così spesso che ormai non ci fa più caso.
«Sean come sta?» chiedo.
«Chiedilo a lui» fa lei in tono acido.
«Sean. Come. Stai?» parlo piano perché mi capisca.
«Deficiente – mi ha capito – ho perso la memoria a breve termine, non mi sono mica rincoglionito.»
Certo che no. Drogato, alcolista, corrotto, criminale. Ma rincoglionito no. Anzi, Sean Miller era il più scaltro figlio di puttana che avesse mai militato tra le file dei White/Red. No, non sono una gang locale di narcos, i White/Red sono una delle società private di vigile del fuoco di Darxton, l’altra sono gli Yellow/Orange e fra loro c’è guerra aperta. Forse erano meglio i Narcos… Comunque sia è in queste condizioni da ieri notte, confuso come un cucciolo di labrador a un concerto dei Black Sabbath: non ricorda cosa gli è successo, e a parte la sua memoria, per ora irrintracciabile, io sono quello che ne sa di più.
Ieri notte, il 23 luglio a essere preciso, verso l’una – quindi in realtà era già il 24 – mi chiama Sean per farsi venire a prendere. I ragazzi lo fanno spesso, ho un taxi e sono sempre in giro col telefono acceso. Mi dice che si trova nella zona industriale a ridosso del quartiere Inarkos. La voce era debole, roca, scossa da una tosse cavernosa, il discorso nel complesso era confuso. L’ho trovato dall’altra arte di una serie di caseggiati popolari rispetto a un grosso incendio ancora attivo agli stabilimenti del Water Quality Center. Lo so perché l’ho sentito al radio giornale e ho pensato che Sean potesse essere coinvolto come pompiere. Quando sono arrivato Sean era privo di sensi, accasciato contro la porta metallica aperta di un piccolo magazzino seminterrato in una stradina commerciale deserta. Considerando lo stato del blocco serratura, la porta sembrava essere stata aperta con la forza dall’interno, ma certo non da Sean. Anche prima di perdere i sensi non doveva essere in grandi condizioni: era privo della giacca e dell’elmo della divisa da vigile del fuoco, coperto di contusioni e bruciature, niente di grave, e con il torace intaccato da tre squarci slabbrati – per chi è un patito di film horror come me non potevano che ere segni di unghie, grosse unghie – lunghi ma poco profondi. La causa dello svenimento era stata probabilmente una ferita alla testa testimoniata dall’abbondante sangue raggrumato sui capelli.
Insomma l’ho messo a fatica sul taxi e sono partito. Per casa di Kate. Nella nostra piccola combriccola di buontemponi abbiamo deciso di evitare il più possibile gli ospedali e le forze dell’ordine in generale. Un giorno vi spiegherò anche perché.
Per sbrigarmi sono passato davanti al WQC. Ok, la strada non era proprio la più breve, ma ero curioso. Il complesso era in gran parte crollato, più che di un incendio sembrava essere stato vittima di una o più esplosioni. La zona era presidiata da numerosi furgoni scuri, dileguatisi in concomitanza con l’arrivo delle postazioni mobili delle TV. Sono rimaste sul campo delle guardie armate di qualche corpo di sicurezza che non ho identificato.
Ho avuto la netta impressione che nell’allontanarsi, due furgoni prendessero la mia stessa strada.
“Questo è un paese libero – ho pensato – non c’è niente di strano.”
Però mi sono accorto che mi stavano seguendo. Quello sì che era strano. Erano pure bravi, sono riuscito a seminarli giusto un paio di isolati prima dell’appartamento di Kate.
Sean si è ripreso quasi subito, sebbene cosciente e in buone condizioni fisiche, deve aver subito un piccolo trauma che ha causato una perdita di memoria legata a quella sera e uno stato di confusione che sembra in via di guarigione. Mi ha appena dato del deficiente, sembra tutto normale.
«Comunque vi stavo dicendo che mi è successa una cosa…»
Bussano alla porta. Kate mi fa segno di tacere e si avvicina in punta di piedi all’ingresso. Sean mette d’istinto le mani alla cintura, non trovando nessuna pistola torna a guardare un po’ inebetito avanti a sé.
E io… beh, ci sono otto scatole di Hot Chicky Chicks in procinto di assumere la consistenza di uno pneumatico. Ne apro una e mi metto a rosicchiare pezzi di pollo fritto sul divano in tessuto. Le macchie di unto non verranno mai via.
Come avrete capito io non sono l’eroe di questa storia, anzi, chiariamoci, a Darxton non esistono eroi, esiste solo gente che fa cose che finiscono sui giornali e per lo più gli procurano una morte prematura. Se vuoi sopravvivere devi tenere il profilo basso, appena tiri su la testa succede qualcosa e finisci male e allora o sei pronto a diventare anche tu parte del male o la Città rilascia gli anticorpi e fai una brutta fine.
Comunque gli “eroi” di questa storia, prossimi papabili per la pagina dei necrologi – in prima pagina solo belle notizie e belle fighe, è la legge dell’apparenza – stanno per riunirsi tutti attorno alle mie Hot Chiky Chicks.
Ah, già, che stupido, io sono Michael. Michael Wright, la licenza da tassista che porto appesa al collo dice così. Perché un giovane di belle speranze e di famiglia facoltosa decide di guidare il taxi a Darxton? Mettiamola così: ci sono paesi del terzo mondo con un’aspettativa di vita più alta di questa fottuta città. Se devo morire vergine – e non sto dicendo che sono vergine – voglio spassarmela, voglio vivere le strade di Darxton come un dannato virus, voglio essere la cazzo di voce narrante in un film hard-boiled. Girare in taxi mi permette di conoscere i fatti e le persone per fare tutto questo. Forse ha qualcosa a che fare anche con mazza da golf che ho preso in fronte da piccolo. Mai gattonare sul green…
Kate guarda dallo spioncino, scuote la testa e si sente un “idiota” uscire sibilante dalle sue labbra.
Parli del diavolo e spuntano le corna. La porta si apre lasciando entrare il pessimo umore incarnato. Gregory Mallory… Modany… Madney… Non ho mai capito come fa di cognome, ha preso tante di quelle botte in testa che non se lo ricorda più neanche lui. Insomma Greg. Detto “BabyFace”. Ovviamente è ironico. Greg ha una cicatrice larga come un wurstel da hot-dog sulla faccia, va dal sopracciglio sinistro fino alla guancia opposta. Uno dei tanti ricordini dell’Esercito Metropolitano dove è stato arruolato per qualche anno. Gli altri ricordini finiscono tutti in “calibro qualcosa” e se li è presi da solo come buonuscita quando è stato congedato con disonore. Cristosanto! Con disonore. L’Esercito Metropolitano raccoglie la peggiore feccia della Grande D; quando sono a corto di personale arriva una busta al Sindaco con un proiettile a punta cava dentro e la scritto INDULTO. Ed ecco carne fresca per le fila dell’E.M.
Quel ragazzo ha stile, bisogna ammetterlo. E coraggio. Va in giro con un’automatica in una tasca dei pantalone e una copia del Darxton News (leggi il Darxton News) nell’altra. Lo sanno tutti che quel giornale spara tutte cazzate. Comunque lo getta sul divano e mi allungo per darci un’occhiata. Tutte cazzate.
Greg invece saluta tutti con un grugnito, si siede a tavolo e apre una scatola di alette di pollo.
«Greg?» lo chiama Sean.
Lui sembra rendersi conto solo ora di essere entrato in casa di qualcun altro.
«Oh guarda, il piccolo fiammiferaio si è ripreso.»
Sean si alza e si avvicina a lui. Nessuno si incazza quasi più per quello che gli dicono gli altri. Adoro questo gruppo.
«È un morso quello che hai sul braccio?»
Greg si guarda l’avambraccio e annuisce alla mezzaluna rossastra indicata dal pompiere.
«Quasi. Mi è successa una cosa mentre venivo.»
«E no! – sbotto e mi alzo in piedi – Ce l’ho prima io una cosa da raccontare!»
Greg prende la pistola e la poggia sul tavolo senza staccare la presa dall’impugnatura. Non avevo mai notato quanto fosse grande una pistola quando la canna è puntata nella tua direzione. Mi siedo torno a leggere il giornale. Comunque, tutte cazzate.
«Dai, continua» lo incita Kate.
«Sì… Dopo quello che è successo a Sean…»
«Comunque – tengo a precisare – sapete cosa è successo a Sean solo perché ve l’ho raccontato male.»
Mi guardano tutti male. Saranno invidiosi perché sono di famiglia ricca.
«Dopo quello che è successo a Sean, dicevo, e che ci ha raccontato Michael – non raccolgo le provocazioni di Greg – stavo facendo un giro attorno al WQC. La zona era presidiata da guardie armate, mi ha dato l’idea che fossero lì più che altro per tenere lontani i giornalisti. Poi, verso le sei ho visto dei tizi con le tute da apicoltore…»
«Rischio biologico» puntualizza Kate.
Greg la guarda come se stessimo giocando a far finta che tutti sanno una cosa tranne lui.
«Erano tute contro il rischio biologico – continua la bibliotecaria – non da apicoltore, servono a proteggersi contro… potenziali rischi biologici!» sembra spazientita.
«Tu che ne sai? Non eri lì» gli occhi di Greg sono due fessure.
«Greg, non te la prendere, è difficile pensare che potessero esserci degli apicoltori nei paraggi» se lo dice Sean, in quelle condizioni…
Considerando la pistola sul tavolo io parteggio per gli apicoltori e faccio cenno a BabyFace di continuare.
«Gli uomini con le tute… le tute. Se ne sono andati finito l’orario d’ufficio, senza nulla da nascondere. Quando i giornalisti hanno cominciato a diradano se l’è squagliata anche parte delle guardie. Dato che la situazione era stabile, me ne sono andato anch’io, ma fatte poche decine di metri ho messo sotto qualcosa col suv. Sulle prime ho avuto l’impressione che fosse un cane, così sono sceso dalla macchina, solo che incastrato sotto il parafango non c’era un cane, c’era una specie di mostriciattolo mutante senza peli, cioè, poteva pure ricordare alla lontana un cane, ma era gonfio e livido…»
«Grazie, l’hai investito con un suv» faccio notare.
«Era gonfio e livido anche dove non l’ho investito!»
Greg si alza furibondo, secondo me non gli piace non essere creduto, porta la mano alla tasca, ecco lì, ora prende la pistola e mi ammazza sul divano di tessuto di Kate, le macchi di sangue non verranno mai via… Ah no, la pistola è lì sul tavolo, e infatti prende lo smartphone.
«Guardate, gli ho fatto una foto.»
Ci raduniamo tutti attorno a lui. Tutti pensiamo una cosa, ma alla fine parla Kate, tocca a lei, obiettivamente è più difficile che Greg spari a una donna.
«Ti sei fatto un selfie con un mostro morto?»
Greg fa spallucce.
«Voi che avreste fatto?»
Ognuno torna a sedersi dov’era prima per evitare di rispondere.
«Ed è così che ti ha morso?» chiede Kate.
«Ci ha provato, ho fatto appena in tempo a schivare il suo muso schifoso. L’ho investito e quello era ancora vivo, non solo, gli ho pure sparato un paio di colpi, l’ho preso di sicuro, e quello era ancora abbastanza vivo da schizzare via come una pantegana.»
Restiamo tutti in silenzio per qualche secondo a meditare sull’inutilità del racconto, poi l’imbarazzo viene rotto dalla suoneria del telefono di Kate: Like a virgin!
«Greg – dice lei – vedi chi è.»
«È Kevin» dice lui con due telefoni in mano.
«Parlaci tu.»
Io avrei chiesto “perché devo parlarci io?”, ma Greg è un uomo d’azione e risponde.
«Chi è Kevin?» chiede Sean a Kate, ma come risposta ottiene solo uno sguardo rassegnato e stanco, così si rivolge a me.
«Davvero, non me lo ricordo. Chi è Kevin?»
Faccio spallucce. So bene chi è Kevin, ma è troppo divertente vederlo in quello stato.
«Kevin, sono Greg, che vuoi?»
Kevin è un ex Navy Seals, in teoria è un eroe, l’unico superstite di una squadra d’assalto è sempre un eroe, deve esserlo per forza, anche se stava dietro dietro a non fare un cazzo mentre gli altri si facevano ammazzare. Di solito passa le serate ubriaco perso a vomitarsi sulla canottiera mimetica e a ripetere i nomi dei suoi commilitoni morti, oppure drogato perso a vomitarsi sulla canottiera mimetica e a ripetere i nomi dei suoi commilitoni morti. Mi chiedo spesso perché non passo molte serate in compagnia di Kevin. Davvero. Comunque il senso è che se si trova qui deve essere per un motivo serio. O forse ha finito le canottiere mimetiche.
«Un pacco? – Greg ci guarda stupito – Che pacco? – alza entrambe le sopracciglia mentre ascolta la risposta – Uh, capisco…»
Dopo aver riattaccato con la faccia piuttosto dubbioso si rivolge a noi.
«È Kevin, dice se gli diamo un mano a portare su un grosso pacco.»
«Che pacco?» chiede Sean, che ormai sembra averci preso gusto a fare la parte di quello che non capisce un accidente.
«Già, che pacco?» gli fa eco Kate.
«Un pacco alto circa un metro e ottanta per ottanta chili di peso.»
«Uh…» dico io per tutti.
…continua
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