Mentre dormiva il cuore sentì un suono,
come di una melodia mista al pianto.
Andando verso quello strano canto
trovò un neonato seduto su un trono.
“Se ti ho forse svegliato ti chiedo perdono”
disse il bimbo vedendo il cuore affranto
“Non andar via, sono solo da tanto;
piangevo perché cerco ciò che è buono.”
“L’hai perduto?” chiese il cuore al bambino.
“No, ma il mio pianto è un orizzonte scuro
da cui il sole non fa più capolino.
Stringimi e tienimi con te al sicuro.”
Nel sogno il cuore abbracciò il suo destino.
Si vegliò e ripartì verso il futuro.
Ho sempre pensato che il futuro fosse un bambino capriccioso. Un bambino perché per quanto futuro possiamo avere davanti, quello che ci è dato di conoscere direttamente è sempre appena nato. Capriccioso perché fa un gran baccano, a volte sembra felice, a volte disperato, urla per attirare la tua attenzione, ma non si capisce mai cosa vuole. Ora che però ho fatto esperienza in prima persona di neonati (una per l’esattezza, la mia) ho imparato che i capricci non esistono, si tratta sempre dell’espressione più semplice e immediata di bisogni fondamentali: di attenzione, di tenerezza, di calore, di condivisione, di vicinanza, di coccole. Allora penso che se il futuro finora è stato capriccioso, forse devo prendermene più cura, non dedicargli attenzioni distratte, ritagli di tempo, contatti poco interessati; il futuro va ascoltato, bisogna dedicargli tempo, passione, il futuro va accudito e cullato. Ne siamo responsabili.
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