IN VINO VERITAS
Ricordo un emerito ubriacone
che in ben più d’un’occasione
ha avuto bene e niente male
dal suo vizio capitale.
Quant’è comica la sorte,
che nemmeno uno giullare
si potrebbe immaginare
cose che van dritte e storte.
Ho ricordi poco edotti
di quel tipo bevazzaro,
che teneva in modo caro
solo al vino nelle botti.
Se ne andea Messer d’Uvino
co boccale e fiasca pieni,
barcollando, andirivieni,
ubbriaco già al mattino,
che vedette un tipo sciapo
menar tagli a una fanciulla.
Non volendolo per nulla
gli spaccò ’l fiasco sul capo
Cadde al suolo il mascalzone
e s’infilzo con la sua lama,
poi svenette anche la dama,
per chissà quale ragione.
Dopo ch’ebbe molto pianto
pe lo fiasco fracassato,
il vinaiolo poi è passato
ad aiutar chi aveva accanto
con un sorso del boccale,
ché lo vino di cantina
è una sì grande medicina
che guarisce da ogne male.
E difatti all’incosciente
le bastarono due sorsi
e com’avutisi soccorsi
si rialzò immediatamente.
Con lo vino oppure senza
si guardò lo buon Messere
e gli dicette cose vere
piena di riconoscenza:
Grazie a voi – disse sul posto –
che m’avete dato a bere,
sì vi faccio con piacere
Cavalier dell’Uva e Mosto.
La fanciulla, è da sapere
rango avea di principessa,
e si sposò la sera stessa
collo nuovo cavaliere.
Fu così che stava bello
Sullo stemma consortile,
appoggiato su un barile,
un grand’acino e un tinello.
Anni dopo al suo castello
lo Messer diede una festa
poiché s’era messo in testa
d’omaggiar lo suo novello,
sempre vino, come prima.
Invitò tutti i baroni
e tra brindisi e canzoni
si creò non poca stima.
Tant’è vero che un barone,
co uno ricco patrimonio,
a bever come il demonio
quasi perse la ragione:
volle fare testamento
in cui v’era lo messere
come solo ereditiere
e lo firmò tutto contento.
Non appena si rinvenne
andiede tosto pe riaverlo
ma cadendo come un merlo
ci lasciò tutte le penne.
Ecco presto farsi avanti
dell’Uvino la casata
con l’insegna decorata
da tre grappoli e due santi
Far barone è mestier duro
sempre guerre qua e di là
senza alcuna novità.
Ciò pensava di sicuro
ser d’Uvino quella volta
che ubbriaco come mai
si cacciò proprio nei guai
cavalcando a briglia sciolta
contro il muro di soldati
lì disposti da uno conte
a difesa innanzi a un ponte
più di loro e meglio armati.
Pe d’Uvino, anima prava,
non sembraveno poi troppi
li vedea comunque doppi
dunque non si preoccupava.
Fiducioso per la fretta
di veder lo falso vero
abbassando lo cimmiero
caricolli a spada retta.
I soldati dello conte
spaventati dallo fatto
che il nemico fosse matto
se ne andieder pe lo ponte
e allo conte poverino
non rimase altro da fare
che fuggire e di lasciare
le sue cose a ser d’Uvino.
Ora Conte – si rinfranca
lo messer facendo il sunto
c’allo stemma aveva aggiunto
piante d’uva nera e bianca.
Vediam ora Ser d’Uvino
divenuto re d’un regno
far pacato giusto un segno
a un fedele contadino,
che s’appressa pel comando.
Tu che cresci e sai sanare
le mie figlie a me più care
delle vigne sto parlando
– disse il re e s’interrompette
per gustare una sorsata
della cosa c’ha più amata.
Guarda il calice, poi smette –
Ti dirò un misfatto ingrato
se ora sono un re potente
lo destino c’entra niente
niente pure ‘l sommo fato.
Or nell’arme che m’insigna
e che sta innanzi al mio potere
senza dubbio puoi vedere
quella rigogliosa vigna.
Niente fato, né destino;
lo ripeto, amico mio,
non è stato neanche Dio:
è tutto merito del vino!
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