Ti tengo tra le braccia,
ti cullo e tu sorridi
e mi dici “Dadà? Dìdi…”.
Vedo il sonno, si affaccia
e mi fermo a guardare la tua faccia,
come la prima volta che ti vidi.
Come allora, io ti tengo e tu ti fidi.
Vorrei proteggerti da ogni minaccia.
So che non potrò farlo;
me lo ripeto spesso,
anche mentre ti parlo.
Non potrò quando crescerai, né adesso:
Il bene più grande puoi solo amarlo.
Ti amerò sempre, con tutto me stesso.
Questi ultimi giorni sono stati un po’ difficili per la mia piccola Gaia… Deve aver ereditato la salute del papà, pertanto anche un po’ di influenza ci ha precipitati nel caos 🙂
Nulla di grave, “tutto normale” si potrebbe dire e “normalmente” questi giorni mi hanno fatto rendere conto della mia fragilità. La tenevo in braccio, la sua faccina tutta rossa, il respiro un po’ affannato, lei che normalmente prende, smonta, gira, muove, lalla, urla, chiama senza soluzione di continuità, ferma, mogia mogia, in attesa che la natura facesse il suo corso e il suo fenomenale corpicino le desse gli strumenti per guarire.
Poi, appena la temperatura è scesa di mezzo grado, ovviamente, ha ricominciato a prendere, smontare, girare, muovere, lallare, urlare, chiamare senza soluzione di continuità… “A papà, ma non stavi male?”
Comunque mi sono reso conto, forse per la prima volta con un po’ di crudezza, che lei è altro da me e anche da sua madre: non posso farmi carico della sua sofferenza, non posso affrontare al suo posto i dispiaceri, posso solo starle a fianco e vederla crescere. Posso insegnarle come si sta in piedi (in realtà in questo è molto più utile la sponda del lettino), posso tenderle la mano per aiutarla a rialzarsi, ma non posso evitare che cada. Non sono triste per questo, solo un po’ spaventato.
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