Il nuovo vitruviano

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Caro lettore, io sono te. O per lo meno lo ero. Sono quel Te che farà ciò che tu non hai il coraggio di fare: Partire.

Nel mio viaggio, che tutt’ora prosegue, sono posseduto da uno spirito immoto, irrequieto, uno spirito di contraddizione che mi spinge a mettermi sulla strada per rinnegare adesso ciò che ero solo questa mattina, e a mutare nuovamente il gioco delle parti all’imbrunire.

È il fantasma degli esiti incerti che mi accompagna sin dal reale inizio di questa inconsapevole peregrinazione: la mia nascita.

E siccome io sono te, in questo preciso istante, è li vicino che ti sta sussurrando di viaggiare.

Non per andare, come fai tutte le mattine dopo esserti convinto che sia la cosa migliore. Non per tornare, come fai ogni sera. Non per restare, questo lo fai da troppo tempo. Partire per arrivare.

Viaggerai per conoscere te stesso e la tua natura. Ed io? Io viaggio. E mi conosco? So adesso chi sono?

Sono una fruibile ed esauriente guida turistica per sonnambuli internazionali; il volo low cost per chi fugge dalla realtà all’ultimo minuto.

Sono partito come semplice uomo penitente da una città qualsiasi della mia terra; la mia città. Quella da cui deciderai di non voltarti più in dietro. Scopri ora che la vera partenza non è lo start con la bandiera a scacchi sventolante; è il punto di non ritorno in una missione di bombardamento su un F16.

Finita la guerra dell’apocalisse mi ritrovo a contemplare Dio tristemente convinto che il viaggio non sia ancora finito Uomo privilegiato, eletto a icona grafica di colui che è, è stato, sarà; in ogni paese e nel mondo intero.

E mentre volo, di bocca in bocca, sento il dubbio del viandante, il timore del pellegrino. Sì, perché è più frequente sapere da dove si parte e quale deve essere la meta, che non saper viaggiare o sapere di viaggiare. Un viaggiatore interiore è solo sulla strada dall’alba al tramonto.

Quando il sole cala alle sue spalle ha paura e repulsione della sua stessa ombra che gli si allunga davanti. Quando, dopo la sicurezza obnubilante della notte, il sole sorge innanzi a lui è terrorizzato dalla sagoma oscura di se stesso che lo segue senza posa.

Tutto questo ti sprona ad andare avanti, e a fermarti di tanto in tanto a riposare.

Quante volte ho interrotto il mio viaggio per sostare ai margini di un placido rivo d’acqua o un cheto laghetto di vallata, a rimirarmi. A rimirare i miei lunghi, lisci capelli neri, così simili a quelli visti a Portorico, che ricadono sulla mia alta fronte arrossata dal sole dell’Australia. È così curiosa quando si aggrotta pensando con cipiglio alla mia ricciuta chioma bionda, bagnata dal mare del Nord. Il mio profilo greco dal naso aquilino bilanciato dall’arguto mento screpolato dal vento olandese, incorniciato di nera barba cresciuta durante il rigido inverno Moscovita. E le mie labbra spagnole, carnose e sensuali, appena al di sotto del mio naso camuso, come nelle genti conosciute in Africa; invidiano i baci dati dalla mia sottile bocca, abituatasi a recitare nenie sui monti tibetani. Ed il mio glabro mento che ha visto il sole delle riserve Navaho scivola dolcemente, goccia dopo goccia, lungo il mio lungo collo segnato di tatuaggi indiani, in mille lacrime piante nei boulevard parigine.

Sono l’antico Giano bifronte che per guardare solamente davanti a sé chiude due dei suoi quattro occhi. Sono il grifo bicipite dagli inconfondibili occhi obliqui, che hanno visto i tetti d’oro del Katai e del Cipango. I miei comunissimi occhi marroni, azzurri, verdi, neri, che riflessi nello specchio di una camera d’hotel in America vedono l’Europa in volo dal finestrino d’un aereo, in prima classe. Una finestra a figura intera dal quale escono una per volta le mie mani: prima una, poi l’altra, poi l’altra poi un’altra ancora. Le mani che hanno posato rispettosamente i mattoni delle cattedrali in Polonia. Le mani che hanno intrecciato ghirlande di fiori alle Hawai. E le mie gambe, divenute forti colmando gli spazi fra le città messicane. I miei altri piedi mossi al ritmo frenetico delle danze tribali neozelandesi. Il petto orgoglioso che ha sussultato per l’emozione di fronte ai verdi paesaggi irlandesi. E i miei addominali contratti dal ridere nei gioviali borghi italiani.

Queste cose fanno di me ciò che sono. Sono Kali-Shiva il distruttore plurimane che edifica attorno a se fortezze di conoscenza e solitudine, ma anche il divino cavallo Sleipnir, nato per inganno, che solca i cieli e le terre per assecondare il suo celestiale gioco.

Sono il nuovo Vitruviano, deforme essenza iconografica dell’umanità mutevole e in costante movimento. Mentre rotolo via nella mia posa plastica ed emblematica mi accorgo che in me contengo le storie ed i viaggi di così tante persone da potermi dire solo. Senza legami. Senza quegli altruistici ponti che in un attimo ovviano ad ostacoli insormontabili; baratri invalicabili. Al rompere di un legame un ponte crolla sulla strada che decidiamo di percorrere. Capita a tutti i viaggiatori, eppure ognuno di loro, ognuno di noi, prosegue il viaggio: gettando corde al di là, ricostruendo il ponte o scendendo sul fondo del baratro e risalendo faticosamente oltre.

Ho visitato tutte le città, ascoltato il silenzio ed il frastuono delle onde su ogni scogliera, gustato ogni esoticità di sapore, percepito ogni fragranza straniera; e sono giunto alla fine ma non sono arrivato.

Scelgo di interrompere qui il mio viaggio. Scelgo di prendere il foglio di via come extracomunitario della realtà, come esule dell’essere.

Ricomincio il viaggio da quella goccia di vita scaturita da mio padre e fluita attraverso mia madre: rinasco.

Io sono te, caro lettore, o forse lo diventerò

Dico così perché tu vivi la tua vita senza tentare di allontanarti da te stesso, senza fuggire. Sei dove ti trovi. Nonostante il mio pellegrinaggio per il mondo, in visita ai luoghi sacri del mio ego, tu sei già arrivato.

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